Siamo tutti appesi ad un filo flebile e invisibile che può spezzarsi in ogni momento e la vita in fondo è un totale mistero sul quale andrebbe ogni giorno meditare. Mi vengono in mente queste considerazioni nel giorno in cui è morto, improvvisamente, Paolo Griseri giornalista di altissimo livello e rigore morale, un grande appassionato, umile, coraggioso e competente cronista anni 67 torinese.
La sua scomparsa imprevista, fulminea, immatura, lascia nel dolore la moglie Stefania anche lei giornalista e il figlio Gabriele, la mamma di Paolo, i famigliari e i tanti colleghi e amici, che hanno espresso una emozione sincera non di circostanza perché la persona è stata una grande persona. Il giornalismo come missione e testimonianza di una vita, la cronaca come segno di un disegno umano e forse qualcosa di più che diventa gioia e sofferenza insieme. La ricerca della notizia, dell’approfondimento dell’analisi dei fatti come espressione di un modo di essere giornalistica, dunque narratori e infine educatori.
Paolo Griseri torinese nasce a Mirafiori, in quella Mirafiori della Città fabbrica della Fiat e dei cancelli, dei preti operai e delle lotte del movimento sindacale. Li si forgia in famiglia e negli ambienti di vita la voglia di raccontare partendo, come ha ricordato il direttore della Stampa, dalla rivincita degli ultimi, del racconto dei volti e delle storie dei vinti dalla fine degli anni Settanta, attraverso i decenni, fino all’ultimo respiro. Il giovane Paolo Griseri cresce nel mondo cattolico; i suoi genitori sono nelle Equipe Notre Dame, lui è uno scout dell’Agesci negli anni della grande trasformazione sociale. Non dimenticherà mai questa sua formazione, pur avendo un profilo laico e plurale nel raccogliere storie e raccontarle. Parte delle esperienze delle Radio e televisioni libere o private degli anni Settanta sono quelli delle lotte operai, del passaggio d’epoca e la cesura di una certa storia industriale totalizzante della città il 1980 con l’occupazione della fabbrica e la marcia.
Dei fenomeni economici, industriali, sociali di Torino è acuto osservatore e maestro delle giovani generazioni. Dentro le questioni che riguardano gli anni bui del terrorismo e della difficile integrazione dell’emigrazione italiana e poi straniera. Della povertà si occupa con un ascolto davvero prezioso delle sentinelle fondamentali come quelle del mondo Caritas, è stato obiettore di coscienza alla Cisl e del volontariato sociale laico e religioso della Torino profonda.
Insieme a Loris Campetti è il reporter dei cambiamenti torinesi della redazione cittadina de “Il Manifesto” e poi approda a Repubblica dove macina chilometri, storie, racconti, analisi, approfondimenti di temi complessi primi tra tutti quelli della Fiat e la sua turbolenta storia degli ultimi decenni. E’ inviato su temi economici e del lavoro, ma anche cronista di temperie e passaggi sempre indefiniti come quello della Tav e delle mutazioni antropologiche della città laboratorio, la sua Torino.
Di Repubblica sarà poi inviato per oltre quindici anni dentro il mondo Fiat che racconta insieme a validissimi e noti colleghi e colleghe e segue tutte le tappe dell’epopea di Sergio Marchionne, fino all’ attuale nebulosa situazione verso un futuro tutto da pensare.
Il lavoro dignitoso degli altri e del suo mondo quello giornalistico, seguendo gli organismi di categoria con la serietà e l’ironia di un maestro umile e generoso. Sempre disponibile al confronto e all’aiuto dei colleghi più giovani. Negli ultimi anni, infine, l’approdo al quotidiano La Stampa fino alla vice-direzione, ma sempre scrivendo di sofferenze e riscatti, poi dopo la pensione inviato nelle cronache difficili e i bellissimi profili degli ultimi mesi, settimane giorni con la rubrica il Bosco dei saggi, con i profili di donne e uomini della storia di Torino e il Piemonte o la ricostruzione analitica, approfondita, senza reticente della storia recente della più grande azienda automobilistica italiana. Lo piangono soprattutto la moglie e i suoi affetti, lo onora la città, le periferie, raccontante in un recente e bellissimo saggio, come la comunità Riposerà a Mirafiori dove tutto era iniziato per non finire mai.
Luca Rolandi