Plinio Martelli. Il ricordo di un amico
Plinio aveva una specie di tic. Quando pensava, quando discuteva con te, piegava il gomito e con la mano si strofinava nervosamente il petto con piccoli e veloci movimenti. A me quel gesto è sempre sembrato la manifestazione fisica del suo modo di ragionare veloce, di collegare le cose e, soprattutto, di immaginarle. Era qualcosa che ti metteva curiosità, che ti disponeva ad aspettare di vedere realizzato quello che aveva in testa.
L’ultima volta che ci siamo visti era il giovedì prima che lui morisse. Due giorni prima che, improvvisamente, si accasciasse in auto davanti a casa. Si era messo in testa di farmi il ritratto. Mai mi sarei aspettato che quello sarebbe stato il suo ultimo lavoro.
Ci eravamo incontrati nel suo studio, un locale sotterraneo vicino a casa sua, in Santa Rita. Un posto magico e inquietante, come il suo lavoro del resto. Lì c’era tutto Plinio, soprattutto il Plinio degli ultimi anni, quello che con la luce era capace di trasformare tutta quella robaccia di plastica che usava per le sue foto in qualcosa di eterno, di drammatico, di divertente (pochi hanno saputo usare la luce come lui!).
Quella mattina avevamo scherzato tanto, perché Plinio era divertente, oltre che acuto. Era uno spiritoso, a volte involontariamente, che se ne usciva con cose che ti lasciavano spiazzato. “Fai la faccia di uno che ha appena ammazzato un re”, così mi diceva. E alla mia domanda: “Ma scusa Plinio, come cazzo è la faccia di uno che ha ammazzato un re” lui rispondeva quasi stupefatto: “Vabbè, fai quello che puoi, fai una faccia cattiva, va”. E così è nata quella sua ultima opera, recuperata molto tempo dopo nel suo archivio.
Ti guardava e con la mano si sfregava il petto. E tu stavi li, ad aspettare la sua trovata, la sua idea, il suo scatto. E quella mano che si muoveva era come il fuoco che percorre la miccia prima di far esplodere la bomba.
Ci ho pensato spesso a quella mattina, soprattutto per il significato che ha assunto col trascorrere del tempo. Proprio non avrei mai pensato, mentre me ne stavo lì impalato con una finta armatura, con una spada, con un teschio, tutto rigorosamente di plastica, che sarebbe stata l’ultima volta che ci saremmo visti.
È andata così, avrebbe detto Plinio. E ora siamo qui, a lavorare sul suo lavoro – che bisticcio di parole! – a fare le mostre, a fare vedere a tutti che artista era Plinio Martelli. Con serietà ma anche con quell’ironia che a lui piaceva tanto: facendo le cose sul serio, ma senza prendersi mai troppo sul serio.
Marco Albeltaro