Beatrice Covassi è ambasciatrice del governo di Bruxelles ora guidato da Jean-Claude Juncker ed è una delle voci italiane più autorevoli ed influenti nella Ue grazie ad un’esperienza quindicennale nelle istituzioni e nella diplomazia europea. E’ stata a Torino per inaugurare il progetto integrato del Polo del ‘900 sull’Europa coordinato dalla Fondazione Carlo Donat-Cattin.
Covassi ha riconosciuto la difficoltà del momento vissuto ma evidenziato come questo momento difficile sia anche”un’opportunità per ripensare a come costruire insieme il futuro”. Fondamentale è il dialogo per comprendere meglio, ma anche lavorare sulla “percezione” delle minacce, come nel caso della crisi dei migranti, con “un numero di arrivi in Italia che quest’anno non ha subito aumenti. Sono numeri che restano importanti ma che sono contenuti rispetto alle previsioni più allarmistiche”.
Ci può dire quali sono le aspettative e i timori della Commissione sull’attualità politica italiana?
Seguiamo gli sviluppi con grande attenzione e interesse. Come ha ribadito il presidente Juncker siamo fiduciosi che il presidente Mattarella saprà trovare la quadra istituzionale, compito non facile. Le tempistiche saranno importanti: la Commissione non vuole mettere fretta, ma è utile ricordare che a giugno ci sarà un Consiglio particolarmente rilevante. Oggi è in corso un dibattito fondamentale sul futuro dell’Unione e le sue prospettive finanziarie. Un Paese come l’Italia ha tutto l’interesse a stare nei tavoli negoziali giusti al momento giusto.
Una delle grandi sfide che metterà alla prova il progetto europeo è la Difesa Comune. A che punto siamo?
Credo che il risultato più concreto raggiunto su questo fronte sia il Fondo Europeo per la Difesa, che comprende il finanziamento della ricerca e la condivisione di attrezzature e know how. Il costo della “non Europa” nel settore della Difesa è altissimo e crea delle enormi economie di scala. In futuro ci sarà la possibilità di fare appalti congiunti a livello europeo. Se siamo arrivati qui è perché non siamo partiti dalle dichiarazioni di principi ma dal progetto comunitario.
Le elezioni italiane sono state l’ennesima tornata elettorale in Europa che ha visto crescere le forze euroscettiche. Come rilanciare il messaggio europeista?
Serve una nuova narrativa che racconti un’Europa di crescita, di opportunità, non solo l’Europa dell’austerità e delle regole. Ma soprattutto serve uno scatto ulteriore, di cui la Commissione vuole essere partecipe: riconnettere i cittadini con le istituzioni, riscoprire un’Europa dei popoli, per far tornare i cittadini europei protagonisti, anche in vista delle elezioni europee del 2019.
Rimangono però ferite aperte come la Brexit. Quali sono le maggiori difficoltà incontrate nel corso dei negoziati fra Commissione e Downing Street?
La difficoltà maggiore per i negoziatori è stata dover rescindere una serie di rapporti giuridicamente complessi, coltivati per oltre quarant’anni. A questo si è aggiunto il dato politico: ci sono state delle pressioni, soprattutto da parte inglese, per muoversi in direzioni non sempre chiare. Ultimamente il governo britannico ha dichiarato che uscirà da tutto, compresa l’unione doganale, smentendo voci che circolavano negli ultimi tempi.
Il nostro negoziatore capo Michel Barnier ha sempre ribadito l’importanza delle tempistiche: il 29 marzo del 2019 il Regno Unito uscirà dall’Ue, non abbiamo un tempo indefinito per negoziare l’uscita. Bisogna procedere in modo spedito.Innanzitutto la definizione del “divorzio” finanziario su cui serve far chiarezza. Poi i diritti dei cittadini, che devono essere reciprocamente garantiti. Infine la delicata questione irlandese: è fondamentale mantenere il Good Friday Agreement e non tornare indietro nella storia. La posizione della Commissione è sempre stata trasparente sulle priorità: prima negoziamo l’uscita, poi vedremo quale sarà la forma delle relazioni future con il Regno Unito.
Nei prossimi mesi l’Ue è chiamata a misurarsi con la riforma del sistema di Dublino sull’accoglienza, un tema che sta particolarmente a cuore all’Italia, impegnata in prima linea nei soccorsi.
L’auspicio della Commissione è che si possa arrivare a un accordo politico sul diritto d’asilo prima della fine del mandato. Procrastinare il problema fino alla prossima Commissione significherebbe non rispondere alle richieste dei cittadini. Quanto ai meccanismi di redistribuzione: vogliamo renderli più condivisi e automatici. La sentenza della Corte di Giustizia e la decisione del Consiglio sono stati due importanti passi avanti per rendere effettivo il ricollocamento, forse potevamo agire più in fretta. C’è poi un problema politico: deve passare il messaggio che l’emergenza di uno Stato membro, che provenga dal Sud o Nord Europa, è un’emergenza di tutti.
Come può l’Unione intervenire in Africa per rilanciare l’economia degli Stati dove hanno origine le rotte migratorie?
Con il Fondo per l’Africa e il Fondo Esterno dell’Unione, che risponde alla logica del partenariato pubblico-privato del fondo Juncker. L’obiettivo è moltiplicare gli investimenti nell’economia locale e creare uno sviluppo durevole in Africa. L’ultimo tassello per completare il quadro è la migrazione legale. Forse un punto debole dell’Europa, dove servono nuove idee.
Luca Rolandi
http://www.polodel900.it