Quale cambiamento
Dono quaranta i giorni di quarantena, mentre fuori è tutto fermo e dentro gli ospedali si lotta con tutta la professionalità e l’amore possibile da parte di medici e infermieri per curare e accompagnare chi non si riesce a salvare, tutti restano in una dimensione di attesa, snervante e complessa, perché inedita.
Sempre più complicato continuare con il corretto e fondamentale “resto a casa” perché se la fase uno dovesse prolungarsi ancora per 30-40 giorni, la fase due potrebbe essere davvero molto più complessa. La salute è il bene primario senza il quale nessuna comunità, popolo, nazione, famiglia o tribù, individuo e collettivo può pensare di progettare il futuro, ma insieme ad una azione più coordinata e mirata per garantire la salute pubblica è necessario essere meno vaghi, fumosi sulle fasi successive che saranno lunghe e articolate.
Se da un lato l’odio e il rancore sulla rete corrono ad una intensità molto bassa, rispetto al tempo pre-pandemia, è anche vero che se la politica mondiale, europea, nazionale non riuscirà a formulare risposte adeguate e durature, le tensioni sociali emergeranno nella loro globalità e il loro contenimento sarà più arduo rispetto a quello del lockdown.
Eravamo già un Paese in crisi ora tutto questo potrebbe acuirsi. Idealmente l’idea che tutto non sarà come prima è affascinante e fondamentale ma ha bisogno di decisioni coraggiose e sagge e tempi lunghi. Non si tratta di sposare le teorie nazionaliste e della decrescita felice, che rischia di essere all’opposto infelice e pericolosa, ma neppure riprendere il cammino pensando che questa pandemia non lasci una ferita indelebile, per il carico di morte e di sofferenza, che ha seminato.
Un grande piano di rinascita vuole dire anche un cambio di paradigmi rispetto alle priorità: sanità, istruzione, formazione al primo posto, con una lotta senza quartiere all’idea dell’economia dominata dalla finanza, un ipercapitalismo dal volto disumano, e lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali.
Una idea policentrica e multicentrica delle relazioni internazionali in cui gli organismi internazionali dalle Nazioni Unite in giù non rappresentino solo delle assemblee e delle istituzioni burocratiche e poco efficaci nell’affrontare le grandi sfide globali. C’è bisogno di cultura, vasta, ampia, diffusa, di base, di formazione a libere coscienze per creare senso critico e razionalità umana nella più ampia collettività mondiale e nazionale.
C’è bisogno di ricreare, come dopo tutti i dopoguerra, l’aggregazione di una classe dirigente di donne e uomini di valore, pacati e coraggiosi, competenti e in grado di ascoltare i bisogni dei molti con progetti e programmi in grado di ridurre le disuguaglianze e plasmare, in modo equo e solidale, le disponibilità di ricchezza prodotta. Una rinascita democratica vera e non a parole e a colpi di like. Un processo complicatissimo ma necessario, perché se davvero è già cambiato tutto e nulla sarà come prima, si dovrà dimostrare tra cinque sei mesi.
Un vaccino arriverà e salverà vite umane, serve però un supplemento d’anima, una idea di futuro, che già mancava prima della Pandemia e oggi non ha possibilità di essere, utilizzando un termine molto abusato in questi giorni, differiti.
Luca Rolandi