Ogni tanto è bene ricordare, e se è vero che questo è anche uno degli insegnamenti della fotografia, a volte la sola memoria è necessaria per rievocare le chiavi di lettura utili per guardare il presente. Torino ha un ruolo indubbiamente di rilievo nella divulgazione fotografica, e l’apertura recente di Gallerie d’Italia è un segnale chiaro dell’interesse della città nei confronti del mezzo fotografico.
Nel 2015, retrocedendo di qualche anno, apriva a Torino Camera, l’ormai affermato centro della divulgazione fotografica in città. E prima? Se si cerca l’argomento sul web, sparuti articoli testimoniano un ruolo attivo e duraturo di Torino nell’espansione della cultura fotografica già dai primi anni del Novecento, con la fondazione della Società Fotografica Subalpina (1899), o la prima mostra internazionale della fotografia (1902). Da allora a oggi, pare esserci un buco nero.
Non rimane infatti quasi traccia di una delle realtà più significative nell’organizzazione e divulgazione del patrimonio fotografico nazionale e internazionale.
L’Agorà nasce nel 1979 – anno anche della prima Biennale di Fotografia a Venezia – per mano di Rosalba Spitaleri, che decise di aprire una libreria di varia in Via Pastrengo e che poco dopo, con l’aiuto del socio Bruno Boveri, trasformerà in un luogo unicamente specializzato nell’editoria fotografica e grafica e in cui verranno organizzate mostre dei più importanti autori italiani e internazionali.
Di quel poco che è la storia della fotografia, è paradossale quanto velocemente se ne perda traccia: similmente, un destino analogo tocca a chi quella storia ha provato a divulgarla, raccontarla, farla conoscere trasversalmente. Dalla prima sede di Via Pastrengo, a quella in Via Duchessa Jolanda, alla terza e ultima di Via Santa Croce – a pochi minuti dall’attuale Camera – è passato dall’Agorà tutto il secondo Novecento della fotografia, da Koudelka a Giacomelli, da Mimmo Jodice a Mario Cresci, dando la possibilità ai giovani amatori e professionisti di toccare con mano i passi man mano più recenti della ricerca fotografica.
Più di trecento sono state le mostre organizzate da Rosalba e Bruno, e da subito l’Agorà iniziò a godere di una fama di rilievo internazionale, alla pari de Il Diaframma di Lanfranco Colombo a Milano. Nei suoi ventotto anni di attività, ovvero fino al 2007, l’Agorà ha funzionato lei stessa da centro didattico, organizzando corsi “di cultura fotografica, e non di tecnica”, come sottolinea Bruno Boveri, e da casa editrice, pubblicando testi pressoché assenti dalla distribuzione italiana, tradotti dallo stesso Bruno.
Uno di essi, “Fotografi sulla Fotografia”, un’imprescindibile antologia curata da Nathan Lyons che raccoglie le voci dei più grandi maestri dagli albori della fotografia agli anni Sessanta, sarebbe non solo utile strumento per ricerche storiche, bensì anche necessaria operazione editoriale per il presente.
Incontrare Rosalba e Bruno per rievocare lo spirito dell’Agorà altro non è che il tentativo di ricordarsi di quello che significa l’attenta e vera intenzione di espandere il sapere fotografico, il sostegno della sua circolazione attraverso mostre, eventi e ricerca editoriale. E incontrarli significa incontrare la passione, riconoscere lo scintillio dell’occhio nel vedere le fotografie degli autori che sono passati dall’Agorà appese ora alla parete di casa a testimonianza di tutto ciò che lì ha avuto luogo e preso vita.
Torino ha avuto un grande tesoro che i fotografi delle generazioni più giovani – io per prima – se conoscono per sentito dire o per altrui racconti rimpiangono, soprattutto vedendo un certo vuoto attorno che né Camera, né Gallerie d’Italia pare possano colmare. Questo vuoto, prettamente istituzionale, irrimediabilmente schiavo di fattori con cui la fotografia ha poco a che vedere, altrettanto poco ha toccato durante la sua esistenza l’Agorà.
La fotografia vista come missione e militanza, come bene da proteggere e diffondere, è ciò che realtà come l’Agorà ha da dirci ancora oggi, in un oggi che sempre di più vuol parlare di fotografia. Tra le onde della moda e delle tendenze, va ricercato forse più di tutto quel brillio pupillare, quell’effettivo godere unicamente della buona fotografia, di quella buona fotografia che “rimane buona fotografia, non importa come la chiamiamo”, come diceva anche Ansel Adams. A ripensarci, Torino non divulga, parla di; usa il mezzo, meno lo vive: che la storia dell’Agorà possa servire come prima propulsione alla nascita di realtà analoghe, e in cui il mezzo viva.
Carola Allemandi