Negli ultimi tempi il movimento Extinction Rebellion di Torino è al centro della scena locale per le azioni intraprese. Le ultime leggi nazionali paiono dare più peso al tipo di impatto, vernici e colori su stabili, monumenti e fontane, più che alle motivazioni dietro a tali atti. Non per nulla subito è stato legiferato per far pagare l’eventuale danno. Mentre all’emergenza climatica ed ecologica si concedono altre tempistiche.
Abbiamo deciso di provare a sapere meglio chi sono, come intendono agire sulla realtà, quali obiettivi si pongono e come intendono raggiungerli i partecipanti ad Extinction Rebellion.
Il loro sito web riporta: Siamo un gruppo di attiviste/i che credono nell’efficacia della Nonviolenza nelle azioni e nella comunicazione di tutti i giorni e nella necessità di unirci per poter prosperare. Crediamo nella pace, nella scienza, nell’altruismo, nella condivisione di conoscenza. Nutriamo profondo rispetto per l’ecosistema nel quale viviamo, per questo motivo impegniamo le nostre vite a diffondere un nuovo messaggio di riconciliazione, discostandoci dal separatismo e dalla competizione, sulle quali la società moderna si basa; siamo i narratori di una storia più bella che appartiene a tutti noi, agiamo in nome della vita.
Chi è ER?
Il gruppo di Extinction Rebellion è un movimento dichiaratamente non violento che nasce in Inghilterra in concomitanza con l’attivismo di Greta Thunberg, senza però condividere le medesime prospettive.
Il movimento si è potenziato sul territorio internazionale dando vita a diversi gruppi locali, uno tra i primi quello di Torino, nato in periodo pandemico superando le difficoltà delle misure anti-Covid.
Quali sono gli elementi che vi caratterizzano?
Tutti i gruppi hanno due comuni denominatori che si concretizzano in dieci principi e tre richieste. I 10 principi si basano sull’obiettivo che vogliamo raggiungere mentre la prima richiesta è dire la verità, ovvero che i governi dicano la verità circa la crisi climatica.
Si tratta di comitati spontanei, autorganizzati, nati da un gruppo di persone che sposano la stessa cause, rivolgendo la loro voce al governo. Il comitato di Torino si rivolge al governo regionale. Il primo principio basato sulla verità interpella i governi, i media e tutti i detentori di potere in grado di influenzare e di agire a favore del cambiamento.
Ai media tradizionali si chiede di divulgare alla cittadinanza informazioni puntuali, precise e che rispecchino la situazione reale sulla crisi climatica ed ecologica. La seconda richiesta è agire ora, cioè agire concretamente per ridurre le emissioni di gas nell’atmosfera. L’ultima richiesta è che le assemblee dei cittadini affianchino governi e parlamenti del sistema attuale, strumento già ampiamente utilizzato in altri paesi come Francia e Irlanda.
Trattandosi di decisioni e cambiamenti impatti per la società, gli aspetti economici e sociali, è di fondamentale importanza iniziare a coinvolgere la cittadinanza.
Entrando nel vivo dell’organizzazione, come si sviluppa internamente Extinction Rebellion? in particolare il movimento locale di Torino.
Extinction Rebellion è un movimento apertamente e dichiaratamente non violento, sia dal punto di vista delle azioni che dal punto di vista verbale. L’idea è di diventare un movimento di massa, un numero consistente di attivisti che scende in piazza e si appropria di uno spazio pubblico per lanciare dei messaggi.
Le iniziative non si pongono come risoluzione di problemi climatici, si scende in piazza come cittadini e attivisti per incoraggiare i politici a prendere decisioni anche difficili. Il movimento di Torino è costituito da un centinaio di persone con un’età media di 25-26 anni, una stima sorprendentemente anomala rispetto ad altri paesi in cui l’età media degli attivisti è di 50-60 anni con un sempre maggiore coinvolgimento giovanile.
Avete avuto aperture con qualche partito politico?
Il movimento, puntando ad essere di massa, sceglie di non schierarsi politicamente così da poter accogliere più attivisti possibili. Puntando alla causa, cioè la crisi climatica ed ecologica, è necessario essere trasversali da un punto di vista dei partiti.
Con l’amministrazione cittadina come va?
Ci stiamo focalizzando sul target della Regione Piemonte e con l’amministrazione comunale non ci sono né buoni né cattivi rapporti.
Quale è la reazione in risposta alle vostre iniziative? Vi sembra che quello che fate non venga riportato correttamente.
Durante le manifestazioni non c’è solo disobbedienza civile, ma anche elementi artistici e visivi. Il fine di queste azioni è di spostare lo sguardo su una problematica, dare la possibilità a chi è spettatore di interrogarsi. Un esempio è la performance compiuta da tre attiviste sirene prive di sensi sulle spiagge secche del fiume Po, per denunciare la siccità che sta colpendo il Piemonte. L’azione suscita delle domande sul perché del gesto e le risposte sono lì, sotto gli occhi di tutti.
Ci sono ruoli di coordinamento all’interno dell’organizzazione?
Uno dei principi del movimento è quello di non avere un leader di riferimento. Ci sono dei ruoli di coordinamento che vengono assegnati e rinnovati ogni sei mesi per evitare l’accentramento di potere.
Quali sono questi ruoli?
Si tratta di una struttura particolare, non gerarchica, ogni gruppo ha la responsabilità di occuparsi di determinate questioni, amministrandosi autonomamente.
Secondo voi riuscirete a ottenere una delle tre richieste? È solo un ideale o c’è qualcosa di concreto.
L’obiettivo è quello. La sensazione è che Torino stia per ottenere la piena realizzazione delle tre richieste ed è importante che siano tutte e tre insieme perché sono concatenate. L’anno scorso è stato fatto un consiglio regionale aperto, ottenuto grazie allo sciopero della fame di un’artista che per 10 giorni, tutti i giorni scendeva in piazza Castello, davanti al palazzo della Regione.
Siete a favore o contro il nucleare?
La comunità scientifica non ha una teoria unanime sulla visione di questo aspetto, il dibattito è ancora acceso dunque il movimento non si schiera poiché la scienza in primis non ha una posizione definita.
Il gruppo non è neppure completamente favorevole alle rinnovabili, dato che anche riempire la penisola di pannelli solari pone dei problemi complessi; tuttavia, sono problemi che non tocca a noi risolvere in quanto attivisti, ma a una comunità scientifica autorevole.
Ci sono dei politici, ci sono delle istituzioni che hanno il compito di prendere decisioni anche difficili, ascoltando la scienza e una serie di voci che fanno parte della società.
Bertaina – Cappiello