Smorzare il sole — Senza scendere nei meriti del dibattito sul riscaldamento globale, una certezza chiara è emersa. Mentre i ricercatori che se ne occupano restano convinti dell’apocalisse in arrivo, il momento politico per farci qualcosa sta rapidamente passando.
Una lezione recente l’hanno impartita i gilet jaunes in Francia—rimandando tra i denti di Emmanuel Macron un aumento delle tasse per finanziare il passaggio a un’economia più “verde”. L’ha ribadita poi il Presidente polacco Andrzei Duda, che all’apertura della conferenza sul clima COP24 di Katowice—per l’appunto in Polonia—ha dichiarato che il suo Paese “non può rinunciare al carbone”. Al momento copre l’80% del fabbisogno energetico polacco. L’argomento parrebbe essere un altro di quei temi—come l’economia o l’immigrazione—in qualche modo “troppo grandi” per essere affrontati dai governanti del momento.
Perfino i fedayyin dell’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change dell’Onu che studia il cambiamento climatico, hanno dovuto cedere all’eresia e autorizzare un primo esperimento di geoingegneria che mira a vedere se sia possibile “smorzare il sole” con mezzi tecnologici per contrastare l’aumento delle temperature. Tentativi del genere sono stati lungamente osteggiati dagli attivisti che preferiscono intervenire attraverso una revisione del comportamento umano. Nella prima metà del 2019 invece, un’equipe di Harvard condurrà una prova sul campo nel sudovest degli Stati Uniti per confermare se si possa ridurre l’impatto riscaldante del Sole rendendo l’atmosfera marginalmente più riflettente ai suoi raggi.
La natura stessa ha condotto una prova di fattibilità nel 1991, quando l’eruzione del vulcano Pinatubo nelle Filippine ha iniettato milioni di tonnellate di anidride solforosa nella stratosfera, creando una sorta di sottile foschia che ha bloccato una parte dei raggi solari in arrivo, abbassando la temperatura globale di circa mezzo grado. Per 18 mesi la Terra è tornata al clima dell’epoca pre-industriale. I ricercatori americani sperimenteranno una sostanza meno allarmante della molto reattiva anidride solforosa. Piccole quantità di carbonato di calcio, un ingrediente degli antiacidi come l’Alka-Seltzer e dei dentifrici, saranno portate nella stratosfera da palloni teleguidati che, una volta rilasciate le dosi—un etto ciascuno —torneranno sui propri passi per misurare la dispersione del particolato bianco.
Il pericolo maggiore secondo molti osservatori—specialmente di chi si oppone alla ricerca di soluzioni “non sociali”—è che possa funzionare, perché è lì che casca l’asino politico. Inoltre, ad “abbassare il termostato” all’intero pianeta, è inevitabile che ci saranno popolazioni che si sentiranno derubate della propria luce solare o temeranno che qualche vicino possa appropriarsi della loro pioggia. Dovrebbero essere proprio gli Usa i primi a soffrirne, ma non basterà. Secondo alcune stime, il riscaldamento globale degli ultimi anni avrebbe migliorato la resa degli sterminati campi di mais americani di circa il 20%.
In sé, l’esperimento è modesto, un punto di partenza.
Uno dei ricercatori, la dr.ssa Zhen Dai, ha detto alla rivista Nature: “Non è poi una bomba nucleare”. Un’attivista dall’altra parte della barricata, il canadese Jim Thomas, ribatte che l’esperimento potrebbe “cambiare delle norme sociali” ed è pertanto “al dl là dei limiti accettabili per la scienza”. È, per dire, una bomba dopotutto.
Courtesy James Douglas Hansen
Una lezione recente l’hanno impartita i gilet jaunes in Francia—rimandando tra i denti di Emmanuel Macron un aumento delle tasse per finanziare il passaggio a un’economia più “verde”. L’ha ribadita poi il Presidente polacco Andrzei Duda, che all’apertura della conferenza sul clima COP24 di Katowice—per l’appunto in Polonia—ha dichiarato che il suo Paese “non può rinunciare al carbone”. Al momento copre l’80% del fabbisogno energetico polacco. L’argomento parrebbe essere un altro di quei temi—come l’economia o l’immigrazione—in qualche modo “troppo grandi” per essere affrontati dai governanti del momento.
Perfino i fedayyin dell’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change dell’Onu che studia il cambiamento climatico, hanno dovuto cedere all’eresia e autorizzare un primo esperimento di geoingegneria che mira a vedere se sia possibile “smorzare il sole” con mezzi tecnologici per contrastare l’aumento delle temperature. Tentativi del genere sono stati lungamente osteggiati dagli attivisti che preferiscono intervenire attraverso una revisione del comportamento umano. Nella prima metà del 2019 invece, un’equipe di Harvard condurrà una prova sul campo nel sudovest degli Stati Uniti per confermare se si possa ridurre l’impatto riscaldante del Sole rendendo l’atmosfera marginalmente più riflettente ai suoi raggi.
La natura stessa ha condotto una prova di fattibilità nel 1991, quando l’eruzione del vulcano Pinatubo nelle Filippine ha iniettato milioni di tonnellate di anidride solforosa nella stratosfera, creando una sorta di sottile foschia che ha bloccato una parte dei raggi solari in arrivo, abbassando la temperatura globale di circa mezzo grado. Per 18 mesi la Terra è tornata al clima dell’epoca pre-industriale. I ricercatori americani sperimenteranno una sostanza meno allarmante della molto reattiva anidride solforosa. Piccole quantità di carbonato di calcio, un ingrediente degli antiacidi come l’Alka-Seltzer e dei dentifrici, saranno portate nella stratosfera da palloni teleguidati che, una volta rilasciate le dosi—un etto ciascuno —torneranno sui propri passi per misurare la dispersione del particolato bianco.
Il pericolo maggiore secondo molti osservatori—specialmente di chi si oppone alla ricerca di soluzioni “non sociali”—è che possa funzionare, perché è lì che casca l’asino politico. Inoltre, ad “abbassare il termostato” all’intero pianeta, è inevitabile che ci saranno popolazioni che si sentiranno derubate della propria luce solare o temeranno che qualche vicino possa appropriarsi della loro pioggia. Dovrebbero essere proprio gli Usa i primi a soffrirne, ma non basterà. Secondo alcune stime, il riscaldamento globale degli ultimi anni avrebbe migliorato la resa degli sterminati campi di mais americani di circa il 20%.
In sé, l’esperimento è modesto, un punto di partenza.
Uno dei ricercatori, la dr.ssa Zhen Dai, ha detto alla rivista Nature: “Non è poi una bomba nucleare”. Un’attivista dall’altra parte della barricata, il canadese Jim Thomas, ribatte che l’esperimento potrebbe “cambiare delle norme sociali” ed è pertanto “al dl là dei limiti accettabili per la scienza”. È, per dire, una bomba dopotutto.
Courtesy James Douglas Hansen
But in this model as well, Im up like episodi di disfunzione viagra!