“Senza l’Italia, Torino sarebbe più o meno la stessa cosa. Ma senza Torino, l’Italia sarebbe molto diversa”. Difficile trovare una definizione più azzeccata di quella che scrisse Umberto Eco su questa città.
Sulla sua insularità sociale, la sua brexit patologica rispetto al resto d’Italia, sulla sua incompatibilità e scarsa conciliabilità con la penisola si è formato il suo scheletro erectus, il suo istinto a distinguersi e il suo divenire a forza di volontà: sapiens sapiens. Due volte sapiens come due sono gli eventi che presentati a distanza di un giorno la portano altrove, forse citando il sommo Machiavelli, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui. Quel cibo di cui parla Machiavelli è la cultura e, solo qui ci si pasce davvero di quel raro cibo che tanta cura richiede cucinarlo, saperlo impiattare e poi servire.
Il Salone del Libro e Biennale Democrazia sono i cibi raffinatissimi, più stellati di una costellazione, e il loro incalcolabile cammino –che – ci fa credere che disegnino la traccia del destino, sono in assoluto tra le migliori idee nate in terra sabauda e forse davvero hanno tracciato e continuano ad indicare il destino di questa riottosa ed ermetica ex capitale.
Biennale Democrazia e il Salone del Libro hanno scelto per il debutto informativo, ossia le conferenze happening, tipiche degli eventi molto attesi in due luoghi altrettanto simbolici. Il foyer in velluto rosso del Teatro Regio e l’underground cult a bordo fiume dello Student Zone dei Murazzi.
Il Salone del Libro come un vecchio salmone che conosce la strada ha capito come saltare nel fiume degli eventi e delle difficoltà ha iniziato la risalita verso i meriti che gli spettano e le attese del pubblico. Dopo traversie a metà tra il grottesco e per forza di cose il romanzesco, la prossima edizione, la 32esima, si rinnova e si estende e va ad allogggiare all’Oval, uno degli spazi fieristici più belli e accoglienti dell’intero paese.
Sceglie, quest’anno una lingua, in luogo di un paese, lo spagnolo. La lingua dell’inquisizione, delle tensioni politiche odierne come il Messico e la catalogna, della maestosa poesia sudamericana, di Cervantes, e della finezza diplomatica. La quarta lingua più parlata al mondo che è anche quella, gesuitica nel pensiero e, compassionevole del Papa venuto dalla fine del mondo.
Due occasioni in cui la cultura è alla portata di tutti, cinque giorni per Biennale da mercoledì 27 al 31 marzo e altrettanti cinque per il Salone, dal 9 al 13 maggio. Non si può dire che dietro ai numeri e alla capacità d’inventiva non vi sia una logica e un pizzico di follia. Infatti così Italo Calvino, in linea con Eco diceva:
“Torino è una città che invita al rigore, alla linearità, allo stile. Invita alla logica, e attraverso la logica apre alla follia”.
Ps. Riguardo alla follia, la scelta della camicia di Nicola Lagioia, scrittore e direttore del Salone, indossata per la presentazione, propende nettamente per assecondarla.