Millecinquecento persone solo all’inaugurazione: si preannuncia un grande successo di pubblico la mostra allestita dalla GAM – l’ultima prima della direzione di Carolyn Christov Bakargiev, al timone di GAM e Castello di Rivoli dal 1 gennaio 2016 – dal suggestivo titolo Mercante di nuvole. Studio65: cinquant’anni di futuro, a cura di Maria Cristina Didero, visitabile sino al 28 febbraio 2016.
L’esposizione celebra il mezzo secolo di attività dello Studio65, collettivo fondato a Torino nel 1965 da un gruppo di architetti riuniti intorno alla figura di Franco Audrito, reso celebre dalla famosa seduta Bocca, divano rosso fuoco che riproduce le labbra delle dive hollywoodiane, simbolo della mostra sulla cartellonistica e persino, grazie alla collaborazione Gtt – Gruppo Torinese Trasporti, a disposizione del pubblico in due stazioni della metropolitana, XVIII Dicembre e Porta Nuova dove, da qui e per tutta la durata della mostra, i passeggeri potranno sedersi e scattarsi una fotografia da postare on line con l’hashtag #ilmercantedinuvole.
La mostra è l’occasione per celebrare anche la storica azienda piemontese Gufram, recentemente rilevata dall’imprenditrice Sandra Vezza, che sin dall’inizio ha stretto una forte collaborazione con lo Studio65 producendone molti oggetti e rendendo famoso il radical design; nel 2016 celebrerà i cinquant’anni di attività presentando, tra le altre iniziative, una nuova versione oro della celebre Bocca, prodotta per la prima volta nel 1970, in soli 50 esemplari.
In mostra saranno esposti la seduta Capitello, la poltroncina Attica e il tavolino Attica TL, progettati nel 1972, frutto della sperimentazione che ha contraddistinto Gufram e Studio65. Accanto a questi oggetti sono presentati altri pezzi meno noti al grande pubblico ma dal profondo significato concettuale, come il mobile -contenitore Colonna Sonora, scultura pacifista che diffonde l’aria della Traviata cantata dalla Callas o la seduta Mela del Peccato. Oggetti che parlano della storia di una generazione, che ha conosciuto la trasformazione del mondo da industriale a post-industriale, per continuare a vivere come simboli contemporanei.
L’allestimento all’interno della GAM è stato concepito come un vero e proprio progetto urbano virtuale, con strade e piazze che si alternano lungo il percorso interattivo costellato da arredi e oggetti da toccare e anche «usare», e che saranno di sicuro impatto sul pubblico di ogni età, per la loro forza ludica ed educativa allo stesso tempo.
Si potrà liberare la fantasia con Baby-lonia (1972), il gioco ispirato alle scatole delle costruzioni; sdraiarsi sul lungo divano a forma di Bruco (1970), su Chiocciola (1970) seduta dalla forma a foglia d’acanto arrotolata su se stessa, o sul divano a stelle e strisce componibile Leonardo (1969) studiato come una necessità dello studio per la sua facilità di uso alla bisogna e, se impilato, di occupare il poco spazio lasciato vuoto dai tecnigrafi (un cubo di 140 cm di lato), divano che oggi è stato rimesso in produzione.
Un allestimento efficace e immersivo è anche la carta vincente che fa della mostra Super SuperStudio, al PAC Padiglione Arte Contemporanea di Milano, sino al 6 gennaio, un’esperienza coinvolgente: l’esposizione ricostruisce i progetti più importanti di Superstudio (1966-1978), il collettivo fiorentino di architettura radicale e radical design formato da Adolfo Natalini e Cristiano Toraldo di Francia, a cui si aggiungono Roberto Magris, Alessandro Magris, Gianpiero Frassinelli ed Alessandro Poli, che non solo ha influenzato il modo di pensare e progettare di grandi architetti contemporanei come Zaha Hadid, ma ha posto nuovi quesiti in termini di arte e architettura in un momento storico di grande trasformazioni sociali, lo stesso in cui Studio65 realizzava progetti forse più ludici e di matrice pop ma anch’essi specchio di una generazione caratterizzata dalla forte valenza dell’esperienza collettiva, in grado di incidere sui mutamenti storici.
La mostra è a cura di Andreas Angelidakis, Vittorio Pizzigoni e Valter Scelsi e rivoluziona gli spazi del PAC con un imponente percorso labirintico costruito da lastre in cartongesso che creano camere, anfratti, visioni prospettiche, livelli sovrapposti in cui inserire, a fianco dei progetti, dei film e del ricco apparato documentario, i pezzi di design più iconici come i gli elementi di arredamento prodotti da Zanotta, caratterizzati dalla nota quadrettatura Supersuperficie, le sedute Baazar in pelliccia rosa, i progetti Monumento Continuo e le 12 città ideali (1971), fino alla scultura-installazione La Moglie di Lot presentata alla Biennale del 1978 incentrata sul rapporto Natura-Arte. Il tutto è posto in dialogo con 19 opere realizzate da altrettanti artisti contemporanei, tra cui Pablo Bronstein, Stefano Graziani, Paola Pivi, Angelo Plessas, Riccardo Previdi, Priscilla Tea, Patrick Tuttofuoco, Kostis Velonis, Pae White, che dalla ricerca del collettivo fiorentino hanno tratto materia per il proprio lavoro.
Il massimo successo di Superstudio avvenne nel 1972 quando parteciparono a Italy: The New Domestic Landscape, grande mostra di design italiano tenutasi al MOMA di New York nella quale il curatore Emilio Ambasz accostava i maestri e la nuova generazione nata dai movimenti di avanguardia. L’evento segnò un momento molto importante perché rappresentò un’occasione di promozione internazionale del prodotto industriale italiano interpretando il design non solo come momento progettuale finalizzato alla realizzazione di oggetti ma anche come strumento di critica alla società.
A questa storica mostra parteciparono anche Ugo La Pietra, il gruppo 9999, movimento di architettura radicale anch’esso nato a Firenze nel 1967, e i Gruppo Sturm (Giorgio Ceretti, Piero Derossi e Riccardo Rosso) nato a Torino a metà degli Anni 60 Torino: con la collaborazione tecnica di Piero Gilardi progettano i primi mobili in poliuretano espanso con un’attitudine e un approccio anti-design, realizzando allestimenti per locali pubblici che segnano un’epoca del divertimento in Italia: il Piper Club e l’Altro Mondo di Rimini.
Alcuni di questi progetti, nonché i vestiti in poliuretano realizzati proprio per le performance al Piper, sono visibili al PAV, parco d’arte vivente di Torino nell’ambito di EARTHRISE, Visioni pre-ecologiche nell’arte italiana (1967-73), visitabile sino al 21 febbraio 2016, terza mostra collettiva a cura di Marco Scotini che, nell’ambito del programma espositivo 2015, aggiunge un nuovo capitolo alla genealogia del rapporto tra pratiche artistiche, politiche ed ecologiche. Con la nuova mostra il PAV intende approfondire la propria indagine sulla genealogia del rapporto tra pratiche artistiche, mutazione sociale e produzione dell’ambiente, presentando un insieme di ricerche pionieristiche condotte in Italia negli anni cruciali attorno al ‘68. Un Sessantotto che non è solo quello della rivolta del movimento studentesco e dei lavoratori ma anche quello della celebre foto scattata da William Anders il 24 dicembre di quel fatidico anno. Una foto meglio nota come “Earthrise” appunto, da cui prende il titolo l’esposizione, e dove la Terra – isolata nello spazio cosmico – appare per la prima volta vista dalla Luna.
“L’idea che faremo meglio a tornare alla terra, intesa come risposta polemica all’esplorazione spaziale è l’idea di base dalla quale sono partito per questa avventura chiamata Agricola Cornelia” scriveva Gianfranco Baruchello in un libro dal titolo ormai noto How to Imagine. A Narrative of Art, Agricolture and Creativity del 1983. La fattoria sperimentale, che porta il nome di Agricola Cornelia S.p.A., inizia a prendere forma nel 1973, “alla fine – cioè – di tutte le esperienze politiche con le quali eravamo stati connessi dal sessantotto in poi e ci scoprivamo alla ricerca di valori diversi dalla normale militanza”.
Nel 1971 è il gruppo di architettura radicale 9999 a lanciare invece un manifesto-volantino con lo slogan: “Caro studente o cultore dell’ambiente, stai attento! Il tuo ecosistema è in crisi, la tua capacità creativa è assopita”. Ciò che unisce queste esperienze estetico-politiche ai celebri Tappeti Natura di Piero Gilardi della seconda metà dei ’60, così come alle incursioni sugli orti urbani spontanei e periferici di Ugo La Pietra, è l’assunto etico della terra vista come “luogo del ritorno”. Piuttosto che alimentare l’euforia per un’espansione illimitata, la foto del paesaggio spaziale scattata da Anders nel ‘68 genera in molti un rovesciamento di prospettiva. È la Terra a divenire l’oggetto di una nuova consapevolezza antropologica e responsabilità sociale: quella della limitatezza e finitudine del pianeta. L’ultima avventura possibile diventa allora quella che alcuni cominciano a chiamare “ecologica”: i lavori che sono presenti all’interno di Earthrise coniugano la dimensione ecologica come pratica attiva nei rapporti umani, a tutti i livelli del sociale. Tematiche e prospettive di incredibile, scottante attualità.