Al Carignano va in scena la meraviglia.
Lewis Carrol non ha scritto una semplice favola per bambini, una bella storia di pura fantasia che ha reso contenti i piccoli lettori di tutto il mondo. No.
Con Alice in Wonderland lo scrittore e matematico inglese ha catapultato tutti, grandi e piccoli, in un viaggio di non ritorno. Perché il libro è una lezione di vita spigolosa ed incredibilmente reale. Non a caso viene adattato tranquillamente e presentato sotto forma di film oppure di pièce teatrale in molte città. Da sempre.
In modo davvero eccellente, al Carignano di Torino per la regia di Marco Lorenzi. Essenziale e perfetta la scenografia, bravi gli attori e il pubblico, che ha saputo interagire benissimo con le battute sceniche e la storia.
Molti critici letterari e psicoanalisti hanno cercato di interpretare il messaggio “subliminale” presente in ogni singola sequenza narrativa o in ogni straordinario personaggio fantastico. Ma c’è poco da immaginare. Ognuno legge per cogliere in realtà ciò di cui ha bisogno, in ogni singolo momento della propria vita, dalla fanciullezza alla vecchiaia. L’opera di Lewis Carrol è un libro eterno, perché la fantasia, come la meraviglia non smettono mai di esistere e i bambini sanno che Alice in questo è una ragazzina molto fortunata.
Nel suo passaggio dal mondo reale a quello delle Meraviglie, Alice scopre e insegna la metafora della vita, in continua mutazione ed evoluzione. I diversi personaggi inverosimili, bizzarri e paradossali, che la bambina incontra nel corso del suo viaggio fantastico rappresentano una possibilità di riflessione, anche metafisica o filosofica. Ed è per questo che non è una semplice favola.
Il personaggio di Alice descritto da Lewis Carrol può essere in realtà ogni bambino che fatica a crescere e ogni adulto che ha dimenticato di essere stato bambino. Chi ha potuto leggere il libro e vedere la rappresentazione teatrale non è rimasto sicuramente indenne, gli adulti più dei bambini.
I bambini sanno spostare il confine tra reale e fantastico e sanno divertirsi a prendere il thè col Cappellaio Matto, a rincorrere il Bianconiglio nella sua tana, a rimanere ipnotizzati dal Gatto del Cheshire (chiamato Stregatto nella versione italiana del cartone Disney del 1951).
Gli adulti, invece, si tutelano dalla fantasia e vedono nel libro solamente una simpatica favola da leggere e rileggere, senza soffermarsi sull’evoluzione del personaggio o della storia. Se solo volessero, troverebbero un mondo stregato, una storia senza tempo che catapulta il lettore nella dimensione del non sense e di un utile allenamento alla vita.
Alice sicuramente è una sognatrice, una bambina audace, testarda, ma anche coraggiosa e cortese. Con tutti. Persino con la Regina di Cuori, difficile da decifrare o capire attraverso i suoi ragionamenti arzigogolati e le sue pazzie.
Con il suo comportamento e con i consigli che riceve dai diversi personaggi che intesseranno la storia, Alice lascia o lancia alcuni quesiti, che svilupperanno la differenza tra sogno e realtà, tra vero e verosimile, tra significato e senso, tra logicità e illogicità. Il suo viaggio sarà un percorso evolutivo che la porterà ad accettare il rischio e a sconfiggere le sue paure. E lo farà attraverso diversi passaggi, tutti virali e attuali.
Alice da subito non ha paura del cambiamento e impara a gestire la sua crescita, fisica il più delle volte, ma anche mentale, psicologica, umana. “Bevimi, mangiami” saranno gli stimoli sensoriali che l’aiuteranno a non aver paura di perdere il controllo, a compiere il gran salto.
Impara così a fidarsi del proprio istinto, che sarà un valido alleato per ulteriori scoperte e successi.
Nella sua conversazione con il Gatto del Cheshire, Alice impara a scegliere:
“Mi diresti, per favore, da che parte dovrei andare da qui?”
“Dipende molto da dove vuoi arrivare”, dice il Gatto.
“Non mi interessa molto dove”, dice Alice.
“Allora non importa in che direzione vai”, dice il Gatto.
Tutti i personaggi le chiedono di dire chi sia. Alice impara a riconoscere se stessa. Questa semplice domanda sulla sua identità la conduce necessariamente a scoprire il suo ruolo nella società e ad assumerlo, all’inizio in modo del tutto inconsapevole. Impara anche ad esprimere le sue necessità.
Allora, quando parli, dovresti dire ciò che intendi dire, soggiunse il Leprotto Marzolino”.
“Certo replicò prontamente Alice; perlomeno – perlomeno io intendo dire proprio ciò che dico – che è poi la stessa cosa, no?”
“No che non è la stessa cosa! esclamò il Cappellaio. A questa stregua, potresti sostenere che “Vedo ciò che mangio” sia la stessa cosa di “Mangio ciò che vedo”!”
“A questa stregua aggiunse il Leprotto Marzolino, potresti sostenere che “Mi piace quello che prendo” sia la stessa cosa di “Prendo quello che mi piace!”
Impara, inoltre, a costruire la propria vita cercando sempre e comunque di essere felice, senza rinunciare ai propri sogni (anche impossibili!) e senza limitare la propria curiosità.
“Il segreto, cara Alice, è circondarsi di persone che ti facciano sorridere il cuore. È allora, solo allora, che troverai il Paese delle Meraviglie”.
Chi è andato al Teatro Carignano pensando di assistere all’interpretazione di un testo per bambini, sicuramente è rimasto deluso, perchè Alice in Wonderland descrive simbolicamente il mondo interiore di ciascuno di noi. In un certo senso, siamo tutti Alice. Ogni volta che inseguiamo un sottomondo fantastico pieno di assurdità e chiaroveggenze, siamo Alice. E ancora: siamo Alice ogni volta che cerchiamo di ritardare, dominare od organizzare il tempo, quel tempo matto, che lascia spazio al desiderio e alla voglia di scoprire quello che potrebbe ancora succedere.
Attraverso la metafora delle avventure di Alice tutti possono acquisire un’attitudine nuova nel rapportarsi con se stessi, scoprendo le dimensioni molteplici che aprono a nuove possibilità.
Non è, quindi, una semplice favola…
Maria Giovanna Iannizzi