Al Castello Della Rovere di Vinovo i tesori d’arte del Rinascimento piemontese.
Il castello di Vinovo e Domenico della Rovere rappresentano un binomio imprescindibile nel panorama culturale italiano, sprovincializzando l’idea classica del mastio difensivo piemontese medioevale e trasportandolo nell’ambito dell’architettura signorile, robusta fin che si vuole, doverosamente tattica, ma con un tocco d’eleganza tipica rinascimentale che ci verrà poi copiata dalle corti di tutta Europa.
Domenico della Rovere nasce proprio a Vinovo, nel 1442. È il secolo che ci trasporta al ‘500; si studiano Dante e Petrarca ma si vola verso Poliziano, Leonardo, Baldassarre Castiglione, Lorenzo il Magnifico, Ludovico il Moro e il mecenatismo tipico delle grandi Signorie che dal Vaticano, agli Este, ai Gonzaga promuove le arti esonerandole quasi dalla rigida catalogazione scolastica del trivio e del quadrivio per lasciarle esplodere nella loro unicità e bellezza.
Nel 1465 si trasferisce a Roma, alla corte di Francesco della Rovere, futuro Papa Sisto IV, dove inizia una brillante carriera che lo vedrà presto Cardinale. Ottiene di trasferire il titolo cardinalizio a Torino, di cui diventa Vescovo nel 1479.
È proprio il cardinale Domenico della Rovere, appassionato studioso di architettura, a mettere mano e a finanziare la costruzione del castello di Vinovo, contemporaneamente alla fabbrica de Duomo di San Giovanni a Torino, progettato da Meo del Caprina. In realtà è tutta Vinovo a beneficiare del mecenatismo del Cardinale: la sua fortuna economica, legata alla carriera ecclesiastica ed ai benefici che da essa derivavano, venne in gran parte impegnata per dar luce e corso a progetti di elevatissima statura culturale e monumentale. Il castello venne modificato su progetto di Baccio Pontelli per assumere le sembianze di una dimora signorile. La dimora di Borgo vecchio e la cappella funeraria di famiglia vennero già affrescate dal Pinturicchio, a testimonianza della perfetta consapevolezza da parte del prelato del valore artistico della cultura.
L’evoluzione del castello in quelli che necessariamente verranno a distinguersi come due blocchi, di cui uno assumerà il nome di “Castrum novum” è l’oggetto della mostra, ben allestita e ricca di testimonianze che trova spazio all’interno del sontuoso edificio. Si tratta di un’esposizione documentale, probabilmente anche autoesaltativa, che descrive l’evoluzione del complesso nella sua cronologia e nei suoi spazi. I documenti stessi sono piccoli capolavori artistici che raffinano la palpabile sensazione di vivere una mostra all’interno della mostra, dove gioiello e contenitore rivendicano il ruolo di protagonista.
L’evento è stato inaugurato venerdì 18 marzo alla presenza di numerose autorità del mondo politico e culturale a testimonianza che quando la politica si occupa seriamente e con amore di cultura, non può che sortirne un risultato avvincente, ben strutturato, curato nei dettagli, entusiasmante nei contenuti.
L’Assessore alla cultura Vittoria Poggio, sostenitrice di numerose iniziative che vanno dal salone del libro alla riqualificazione dei borghi, alla valorizzazione del patrimonio artistico, afferma: “il rilancio di una delle dimore rinascimentali più importanti del Piemonte, rientra nel programma di valorizzazione dei beni architettonici e culturali di cui la Regione è sostenitrice.”
È lo stesso Sindaco di Vinovo, Gianfranco Guerrini, a confermare l’appassionata volontà di perseguire un percorso di rilancio ad alto livello, nella consapevolezza di possedere un gioiello raro, da lucidare ed esporre sotto la corretta luce. “Dopo due anni di assoluta immobilità dovuta alla pandemia, in cui molti si sarebbero arresi – afferma il Sindaco – abbiamo ripreso un percorso di valorizzazione del castello di cui il Comune è nuovamente proprietario. Si tratta ora di riempirlo di contenuti.”
Dello stesso parere è Diego Sarno, Consigliere regionale: “resistere al Covid è stato un imperativo per poter riprendere spazi di cultura quanto mai necessari. Riproporre cultura in queste condizioni va visto come un atto di lungimiranza e coraggio.” Aggiunge poi: “un valido aiuto a rilancio delle iniziative culturali che devono necessariamente prevedere stanziamenti e progetti a lungo termine, è da oggi dato dal contributo della legge quadro che prevede finalmente di poter programmare i fondi per i tre anni successivi.”
Valentina Cera, per Città Metropolitana, insieme con il Sindaco Guerrini sottolinea: “Per portare avanti certo genere di iniziative occorre che tutte le istituzioni si impegnino ad operare in squadra; la sinergia che si crea nel lavorare insieme genera un valore evidente nel suo risultato”.
“Questo contenuto di proposte – aggiunge il Sindaco – fa sì che il cittadino si identifichi sempre più con il proprio territorio.”
Alla conferenza stampa, moderata dall’Assessore alla Cultura della città di Vinovo, Maria Grazia Midollini, è intervenuto anche l’Architetto Ezio Giaj, curatore dell’allestimento insieme con Michelangelo Grosso e il laboratorio di stampa e grafica “Inchiostro puro” di Torino.
Dalle parole di Giaj traspare tutto l’amore per il proprio lavoro; l’opera di allestimento, delicata e preziosa sembra voler abbracciare con senso di maternale protezione, innanzitutto il contenitore. “L’obbiettivo principale era sconvolgere il meno possibile le sale che avrebbero ospitato le opere esposte. Il castello doveva mantenere la sua funzione di dimora, accogliente e maestosa, a partire già dagli alberi secolari del parco, in una commistione architettonico – botanica che richiama, rivaleggia, si ispira o completa la vicinissima palazzina di caccia di Stupinigi.”
Se poi le due strutture fossero seriamente collegate da una ciclabile di soli 12 chilometri, ecco che l’idea sempre più vincente del museo diffuso troverebbe qui un valido esempio da perseguire e riproporre sul territorio.
Aggiunge Giaj: “ La parte di illuminazione è totalmente non invasiva, concentrandosi sull’oggetto ed allungandosi sulla parete per raggiungere e valorizzare gli stucchi e gli affreschi dei soffitti. Inoltre si consideri che le strutture dei pannelli didascalici sono interamente smontabili e riutilizzabili per altre iniziative.”
La perfetta riuscita negli intenti del progetto di illuminazione è confermato da Remo Caffaro, autore dell’audiovisivo che accoglie l’ospite all’entrata e delle suggestive fotografie del catalogo. La resa dei reperti, dai codici miniati alle terrecotte è pressoché perfetta, come lo è l’immagine logo della mostra, ricavata da un affresco della sala del Fregio.
L’importanza divulgativa della figura del della Rovere e del castello, indiscussi protagonisti della mostra, è avvalorata ancora di più dalla partecipazione di numerosi rappresentanti, dalla scuola alle istituzioni, che insieme, accolgono queste genere di occasioni per amplificarne la potenza sul territorio, contribuendo a creare un substrato culturale massiccio di partenza per un rilancio culturale che abbracci tutto il Piemonte, andando oltre le bandierine e i fugaci tornaconti personali e campanilistici.
Il curatore della mostra, Ilario Manfredini, storico dell’arte, è anche saggista presso la LAReditore di Garavello con il quale ha pubblicato diversi testi. Manfredini, vinovese d’origine ed ex Sindaco di Fenestrelle, ha voluto porre l’accento sulla necessità di “valorizzare la piccola quota di rinascimento piemontese, farla emergere e rappresentarla degnamente tramite questo genere di iniziative”, plaudibili per la difficoltà dell’intento.
L’accesso al piano nobile è fruibile dall’interno, dove oggi si trova la biblioteca, oppure dalla maestosa doppia scala esterna. L’ingresso cattura nella sua pianta quadrata che ospita il cortile interno, invogliando il visitatore a lasciarsi attrarre verso l’alto dove i loggiati sembrano volersi trasformare in una spirale di elevazione di massonica reminiscenza. Il giardino, ben curato, illuminato dalle luci serali, poco invasive, gioca a proiettare ombre entro cui rifugiarsi, donando un senso di accoglienza particolarmente coinvolgente.
Il lato sinistro si apre con la Sala del Fregio ed ha per tema “la miniatura al tempo di Domenico della Rovere e la collezione libraria.” Ospita oltre 99 reperti oggi custoditi presso la Biblioteca Nazionale di Torino, raccolti tramite l’Accademia romana di Pomponio Leto, di cui il cardinale fu “protector” e, attraverso la quale, riuscì a circondarsi di filosofi, letterati, e miniatori. Tra questi spicca Francesco Marmitta, autore del prezioso messale datato agli anni 80 del ‘400, esposto con la tavola di Giovan Battista Bertucci della fine del XV secolo. Il fregio della sala d’onore, da cui è tratta l’immagine della mostra, risale agli inizi del ‘500 e raccoglie le raffigurazioni degli uomini illustri dell’antica Roma, rappresentati dalle scuole del Pinturicchio, di Mantegna e Francesco Francia.
Proseguendo verso la sala degli stucchi incontriamo “la pittura in Piemonte nell’epoca di Domenico della Rovere”. A parte i già citati contributi romani del Pinturicchio presso la cappella funeraria e la domus di Borgo vecchio, spiccano le opere di Eusebio Ferrari, particolarmente attivo in area vercellese, Macrino d’Alba, Bartolomeo Serra e Gandolfino da Roreto.
Particolarmente utile alla comprensione dello sviluppo architettonico del castello sono i documenti e i disegni che testimoniano anche cronologicamente, il passaggio ad un gusto estetico più innovativo e maggiormente intimo. Perdoniamo l’utilizzo di fotocopie là dove erano irreperibili documenti a sostegno di uno sviluppo architettonico così complesso. A partire dal cantiere del duomo di Torino, infatti, il castello di Vinovo si trasforma. Il castrus vetus, riscontrabile nel complesso della cascina mauriziana, lascia posto al castrum novum, che diverrà la sede nobiliare di vita curtense del prelato, dividendo di fatto il complesso in due ambiente distinti ma ben amalgamati.
Si procede verso la stanza di Carlo VIII e “la ritrattistica in Piemonte ai tempi di Domenico della Rovere”. L’ambiente accoglie un ritratto di Carlo VIII, re di Francia in occasione della sua discesa in Italia. La vicenda merita una piccola riflessione. Il sovrano francese aveva infatti varcato le Alpi con l’intenzione di conquistare Napoli, di cui rivendicava oltretutto la sovranità in quanto discendente angioino.
La città sarebbe dovuta servire da base di partenza per un’utopistica quanto romantica crociata in Terra Santa. La facilità con cui fece piazza pulita delle roccaforti che difendevano il territorio partenopeo, grazie anche all’utilizzo di nuove bombarde di sua invenzione, di sei metri di lunghezza, preoccuparono gli stati italiani del nord che leggevano fin troppo chiaramente il messaggio secondo il quale chiunque poteva impunemente approfittare delle ricchezze del Paese più illustre d’Europa. Mantova, Milano e Venezia si legarono quindi in una coalizione che diede battaglia a Fornovo, sul fiume Taro, presso Parma, il 6 luglio del 1495.
Carlo VIII riuscì a fuggire abbandonando il bottino e ripiegando verso il Piemonte prima di far rientro in patria. Per questo motivo uno dei personaggi più osteggiati nell’Italia dell’epoca, gode invece di simpatia negli ambienti savoiardi a lui alleati. Il ritratto, in sanguigna (tecnica ottenuta utilizzando l’ematite ferrosa) si confronta con quello di Carlo II di Savoia, di un secolo posteriore, invogliando il visitatore a raffrontare i diversi stili di ritrattistica e ispezionandone l’evoluzione.
Il cortile cesareo del Castello della Rovere rappresenta a livello stilistico la prosecuzione naturale dello sconvolgimento rinascimentale del complesso architettonico. Può essere considerato il maggior esempio di decorazione in cotto in Piemonte. Tra lesene e capitelli spiccano ventotto tondi raffiguranti Nerone, Galba e la Libertas restituita. Di ispirazione dalla numismatica romana, le decorazioni rimandano a modelli lombardi piacentini e cremonesi, ma riscontrabili anche nel vercellese.
La piacevole armonia tra contenuto e contenitore lascia scorrere il visitatore tra le pagine dell’iconografia del ‘500, rapendolo tra i codici miniati e stupendolo nelle terrecotte e nei fregi, in un tutt’uno ben amalgamato, senza sbalzi o sconnessioni. Piacevole anche il solo percorrere i corridoi, ariosi ed aulici.
Va riconosciuto che una delle qualità della collezione sia stata il metodo stesso di raccolta, ricercando tra numerosi archivi, dalla Galleria Sabauda, all’archivio storico, alla Biblioteca nazionale, a Palazzo Madama, fino ai tesori custoditi tra Pavia e Faenza, Pinerolo, Bologna, Carignano, Vercelli e, perché no, anche Vinovo.
La mostra resta in bilico tra il desiderio di ridare valore ad un territorio e la necessità di aprire uno squarcio su un capitolo artistico poco conosciuto in Piemonte. Sicuramente lo spiraglio di luce proiettato su Vinovo può assurgere a faro di un nuovo modo di fare cultura, da estendersi a tutto il territorio piemontese se non fuori Regione, se studiosi, scuola e istituzioni consolideranno la ritrovata volontà di interagire creando un prodotto eccelso in termini di qualità, bellezza e trasportabilità dell’iniziativa.
Alberto Busca
Un ringraziamento particolare ai “Volontari della cultura del Comune di Vinovo”.
Dal 19 marzo al 12 giugno
Castello della Rovere – Vinovo
Orari: sabato e domenica dalle 10 alle 19.
Info: Ufficio Cultura 0119620413 – 3382313951