GazzettaTorino, ha deciso di raccogliere opinioni, pareri, punti di vista, sul futuro della città, rivolgendo sei domande, sempre le stesse, a persone impegnate a diverso titolo nella società, nella politica e nella cultura, su un tema rilevante del dibattito pubblico, a nostro avviso trascurato: la Torino di domani.
La città appare in questo momento, come si suol dire “sotto lo zelo di Abramo”, ossia pronta ad essere sacrificata senza sapere bene per chi o per che cosa. E noi, come Isacco, vorremmo che alla fine si salvasse.
Chiara Appendino è il Sindaco/a della Città di Torino. La ringraziamo per la partecipazione a Torino Domani.
Dopo un viaggio all’estero, al rientro la città e talvolta l’Italia tutta appare più piccola, bloccata, come fosse imprigionata dentro ad un incantesimo cattivo. Prova anche lei questa sensazione, e se la risposta è si da cosa reputa sia dettato questo sentimento.
No. Non direi.
Sia prima di questo ruolo che durante il mio mandato ho avuto modo di girare spesso all’Estero. Questo mi ha portato a scoprire le tante cose che possiamo migliorare osservando esempi virtuosi, ma anche diverse cose che all’estero ci invidiano e che noi dobbiamo valorizzare.
È da quando sono stata eletta che sento parlare di Torino in termini negativi, specie per quanto riguarda le prospettive. Nel frattempo abbiamo presentato iniziative che si sono viste per la prima volta in Italia e nel mondo, abbiamo una visione di sviluppo chiara e altri indicatori che non confermano la tragedia di cui troppo spesso si parla.
Questo – e lo ripeterò fino alla nausea – non significa che è tutto perfetto. Anzi. Ci sono centinaia di fronti su cui si può migliorare e su cui stiamo lavorando.
Ma credo che ciò che abbiamo sia bene riconoscerlo.
Il dibattito sul futuro di Torino, su cosa voglia divenire, cosa ambisca a rappresentare, quale tipo di identità desideri per se ed i suoi abitanti sembra inabissarsi e virare ad un pensiero che verte solo sui conti, sui debiti, sulle spese; una grande liquidazione dei progetti e dei sogni. Come siamo arrivati a questo?
Ci siamo arrivati a causa di politiche senza prospettive, che hanno guardato la durata del mandato piuttosto che quella delle generazioni. Oggi Torino è tra le Città più indebitate d’Italia. Gli interessi sul debito sono la seconda voce del nostro bilancio dopo il personale.
Un clima generale – che in realtà persiste da anni – di costante campagna elettorale e di soddisfazione di presunti bisogni immediati, anche se non necessari, ha portato a una situazione debitoria dell’Ente che stiamo pagando oggi e che, purtroppo, pagheranno ancora molti cittadini in futuro. Noi abbiamo un’altra idea di Torino, un’altra visione. E la stiamo portando avanti, nonostante si stia lavorando per arginare i problemi che abbiamo trovato. Specie dal punto di vista del bilancio.
Cosa sarebbe opportuno fare per ripristinare fiducia, grinta, carattere, alla città ? Trovare un modello da seguire, che so Amsterdam o Londra, per dinamismo e opportunità, o dobbiamo individuare e inventarci un’altra strada ?
Personalmente rifiuto l’idea del “modello da seguire”, quantomeno quando lo si considera in toto.
Un famoso adagio dice che se segui gli altri non arriverai mai primo. Ecco, Torino non ha mai seguito ma si è sempre fatta seguire. Con le sue peculiarità, con le sue caratteristiche, anche con i suoi limiti se vogliamo, ma ha sempre guidato. Da qui sono partiti i grandi cambiamenti economici e politici del Paese.
Oggi stiamo lavorando per restituire a Torino un’identità che torni a valorizzare la sua spinta produttiva, conciliandola al meglio con il suo patrimonio culturale, artistico e turistico. Si può fare. Con idee nuove, con progetti nuovi, con risorse nuove che arrivino in primis dai nostri giovani e dal know-how del territorio. Si può fare e lo stiamo facendo.
La politica possiede ancora la capacità di coinvolgere e costruire un’appartenenza, ha perduto la pietra focaia che accende passioni o, semplicemente ha smesso di usarla?
Mi lasci dire: la sta usando male.
Il rischio più grosso che possiamo correre è che la Politica smetta di fare la Politica. Dai tempi di Platone e Aristotele la Politica è stata la grande ricchezza delle società occidentali.
La Politica può essere fatta bene o fatta male, la differenza la fanno le idee, e i politici che le portano avanti.
Quello che si è perso più di tutti oggi è la fiducia nella Politica e la fiducia è una merce rara, quando la perdi è difficile recuperarla.
Io nella mia attività quotidiana cerco di consolidare il più possibile il rapporto e la fiducia con i miei cittadini. Incontrandoli, presenziando a eventi sul territorio, parlando di quello che facciamo. E, soprattutto, facendo quello che diciamo. Credo sia il modo migliore per valorizzare la Politica.
A cosa attribuisce il fatto e la responsabilità di non vedere e sottostimare le cose meritevoli e buone del nostro paese?
Se dovessimo dirla con pessimismo a Torino parleremo di “mai cuntent”, se invece vogliamo vedere il buono possiamo dire che non si vedono le cose meritevoli perché si vorrebbe sempre migliorare, quindi si pensa a quelle che non vanno.
Tuttavia le assicuro che ci sono tantissime persone che le cose buone le vedono. Come lei sa esistono minoranze molto rumorose, ma la maggior parte dei cittadini si impegna, lavora e, tutto sommato riconosce il buono che viene fatto. Pur continuando a voler migliorare.
C’è un libro, un film, o uno spettacolo teatrale, che a suo dire rappresenti al meglio il nostro tempo e prefiguri un indizio interessante per il domani ?
Ho recentemente letto il libro di Yuval Noah Harari, Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità.
Credo sia un testo che può dare molti spunti di riflessione. Sull’uomo e su quello che può fare con il suo operato.