GazzettaTorino, ha deciso di raccogliere opinioni, pareri, punti di vista, sul futuro della città, rivolgendo sei domande, sempre le stesse, a persone impegnate a diverso titolo nella società, nella politica e nella cultura, su un tema rilevante del dibattito pubblico, a nostro avviso trascurato: la Torino di domani.
La città appare in questo momento, come si suol dire “sotto lo zelo di Abramo”, ossia pronta ad essere sacrificata senza sapere bene per chi o per che cosa. E noi, come Isacco, vorremmo che alla fine si salvasse.
Vincenzo Ilotte è il Presidente della Camera di Commercio di Torino. Lo ringraziamo per la partecipazione a Torino Domani.
Dopo un viaggio all’estero, al rientro la città e talvolta l’Italia tutta appare più piccola, bloccata, come fosse imprigionata dentro ad un incantesimo cattivo. Prova anche lei questa sensazione, e se la risposta è si da cosa reputa sia dettato questo sentimento.
Come imprenditore lavoro molto all’estero, soprattutto in Germania e negli Stati Uniti, mentre come presidente della Camera di commercio mi rapporto con le maggiori Camere europee e incontro istituzioni e associazioni internazionali. Certo, ogni tanto questa sensazione ce l’ho, ma questo non vuol dire che in Italia si vive in un “incantesimo cattivo”. Credo che nelle imprese italiane ci sia innanzitutto un problema di fiducia in se stesse che mina la nostra competitività, anche se tutto il mondo riconosce le nostre grandi capacità creative, produttive e di adattamento alle esigenze delle aziende straniere.
Nell’area torinese ci sono 220.000 imprese: lo sapete che oltre 210.000 (il 95,5%!) sono micro-imprese con meno di 10 persone, 8.500 (il 3,9%) sono piccole imprese con meno di 50 persone, circa 1.100 (lo 0,5%) sono medie imprese con meno di 250 dipendenti? E che le grandi aziende sono circa 227? Ed è così in tutta l’Italia.
Questo significa – e lo dico come Presidente della Camera di commercio – che c’è bisogno di far comprendere agli italiani che questa creatività, questa capacità di produrre deve subito migliorare e andare verso una maggior digitalizzazione tecnologica, come già stanno facendo alcune nostre imprese e come avviene nei Paesi più avanzati all’estero.
Il dibattito sul futuro di Torino, su cosa voglia divenire, cosa ambisca a rappresentare, quale tipo di identità desideri per se ed i suoi abitanti sembra inabissarsi e virare ad un pensiero che verte solo sui conti, sui debiti, sulle spese; una grande liquidazione dei progetti e dei sogni. Come siamo arrivati a questo?
Una maggiore sicurezza economica è cercata da tutti e in Italia si sono sempre avuti valori etici e civili che sorreggono questo desiderio concreto e che ispirano una politica seria. Ora però emergono solo gli aspetti negativi che non fanno vedere che le spese possono essere investimenti per il futuro, e prevalgono alcuni comportamenti individuali di chi ha cercato di arrivare per esempio con l’illegalità oppure con il disprezzo della sostenibilità o con il deprezzamento della cultura e della formazione. Qualcuno ha guardato ad altri obiettivi, altri hanno cercato altri mezzi per raggiungerli, altri ancora non hanno dato spazio ai giovani e ai loro sogni reali e che ora stiamo vedendo rappresentati anche in cortei mondiali.
A Torino da qualche tempo manca un piano strategico pluriennale della città e della regione, per condividere con tutti che si è d’accordo su alcuni chiari obiettivi di sviluppo. Personalmente, come amministratore pubblico, cerco di portare alla politica quanto raccolgo dalle associazioni di categoria rappresentate in Camera di commercio. Per esempio, devo dire che qui in Piemonte, come in qualche altra regione, le PA cercano di lavorare per creare fin dalla formazione degli studenti una maggior capacità di adattamento tecnologico che poi serva e valga per tutte le imprese, anche le più piccole. Lo abbiamo anche mostrato qualche giorno fa, quando con Regione, Città di Torino, Politecnico e Università abbiamo firmato l’accordo per far partire il nuovo grande hub della manifattura 4.0 nella grande area TNE.
Certo però che dovremmo fare di più: per esempio fornire più accesso al credito, ma è anche vero che come aziende bisogna poi investire.
E poi dobbiamo credere nella ricerca, puntando e facendo puntare tutto il futuro dei nostri giovani su quella che sarà la loro unica ancora di salvezza.
Cosa sarebbe opportuno fare per ripristinare fiducia, grinta, carattere, alla città ? Trovare un modello da seguire, che so Amsterdam o Londra, per dinamismo e opportunità, o dobbiamo individuare e inventarci un’altra strada ?
Ripeto che non siamo un Paese peggiore di altri: guardiamo all’estero pensando che l’erba del vicino sia sempre più verde.
Ma Torino è eccezionale per molti aspetti. Abbiamo la storia di prima capitale d’Italia e custodiamo i patrimoni dei nostri musei, vantiamo alcuni centri di ricerca tra i più avanzati al mondo e gustiamo prodotti enogastronomica eccellenti a livello internazionale. Nel mondo siamo partiti con una nomea di triste città industriale, mentre ora abbiamo milioni di turisti e siamo arrivati ad essere nella top ten mondiale per Best in Travel 2019 per Lonely Planet.
Certamente dobbiamo avere più capacità di guardare a varie esperienze che ci sono nel mondo e che hanno grande successo e capire se e come attuarli qui da noi. Dobbiamo anche continuare a credere in quello che alcune nostre aziende stanno già facendo e farle ancor più sviluppare.
Dobbiamo essere opportunisti certamente nel guardare, dinamici nell’applicare, leader nel creare.
La politica possiede ancora la capacità di coinvolgere e costruire un’appartenenza, ha perduto la pietra focaia che accende passioni o, semplicemente ha smesso di usarla?
La vera politica è una grande ricchezza dell’uomo e soprattutto unisce verso grandi e comuni obiettivi. Scendendo però nella politica reale ci si impantana nelle debolezze umane e si smette di guardare in alto.
Guardiamo ai mezzi di comunicazione della politica che incidono sulla politica stessa: anche negli stati membri dell’Unione Europea sono cambiati i canali di trasmissione del pensiero, sono nate forze e movimenti nuovi, piattaforme diverse. Adesso gli elettori sono audience: scelgono televisioni e web e i loro “like” sono prodotti o idee. Vince chi ha il maggiore potere seduttivo su cittadini distinti in segmenti di mercato. Il contenuto politico si mescola alla “piacevolezza” del messaggi. Dobbiamo sperare che ognuno conservi una propria autonomia di pensiero e sia consapevole del fatto che moltissime informazioni ci raggiungono in base a una profilazione, mentre altri messaggi non arrivano per scelta di una app e di chi la guida: i motori di ricerca, le time line di Twitter, i commenti degli amici su FB o di chi seguiamo su Instagram non ci arrivano in modo casuale, ma siamo scelti. Dobbiamo essere in grado, a nostra volta, di valutare criticamente.
A cosa attribuisce il fatto e la responsabilità di non vedere e sottostimare le cose meritevoli e buone del nostro paese?
Credo che questa mancanza di alti obiettivi e di valori sia in questo momento una caratteristica degli italiani. Manchiamo di ambizione e rinunciamo a spenderci: ma purtroppo la politica non ci aiuta a migliorare perché continua a evidenziare le differenze come mancanze e non come aggiunte, esaspera i toni perché è più semplice dividere invece che unire. La critiche fanno più rumore e, purtroppo, chi è in cerca di visibilità utilizza soprattutto quelle piuttosto che idee propositive.
Ci sono poi i dati che certamente vanno diffusi, e come Camera di commercio ne abbiamo tanti. Non possiamo certo nascondere che, per esempio, c’è un forte disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, visto come lo sviluppo tecnologico sta incidendo anche sulle competenze richieste ai lavoratori, e che in futuro per oltre 9 profili su 10 sarà associata la richiesta di competenze digitali.
Questi dati oggettivi costituiscono un’ottima informazione perché hanno già in sé molti obiettivi a cui tendere: e noi, PA e privati, dobbiamo capirlo.
C’è un libro, un film, o uno spettacolo teatrale, che a suo dire rappresenti al meglio il nostro tempo e prefiguri un indizio interessante per il domani ?
Le cito un libro appena uscito e che naturalmente pochissimi conoscono. È la divertente autobiografia della nostra centralinista: se lei telefona alla Camera di commercio di Torino può trovare la sua voce che la guida negli uffici. Angela è non vedente dalla nascita e vive su una sedia a rotelle a causa di una tetraparesi. Se legge il suo racconto, “Io non mi schiodo”, lei vedrà una continua esaltazione della vita fatta da una persona positiva: dal nuoto alla danza in carrozzina, dalle difficoltà di apprendimento alla laurea col massimo dei voti, dal servizio come volontaria –lei! – in diverse associazioni al suo lavoro, dove è efficiente ed apprezzata. È un libro molto semplice, ma che con una forte autoironia ci ricorda che dobbiamo sempre avere coraggio ed essere intraprendenti, a prescindere da chi si è o da dove si parta. Credo che queste caratteristiche conteranno sempre per il nostro domani.