Torino Domani
GazzettaTorino, ha deciso di raccogliere opinioni, pareri, punti di vista, sul futuro della città, rivolgendo sei domande, sempre le stesse, a persone impegnate a diverso titolo nella società, nella politica e nella cultura, su un tema rilevante del dibattito pubblico, a nostro avviso trascurato: la Torino di domani.
La città appare in questo momento, come si suol dire “sotto lo zelo di Abramo”, ossia pronta ad essere sacrificata senza sapere bene per chi o per che cosa. E noi, come Isacco, vorremmo che alla fine si salvasse.
Maria Rizzotti è Senatrice della Repubblica, la ringraziamo per la partecipazione a Torino Domani.
Dopo un viaggio all’estero, al rientro la città è talvolta l’Italia tutta appare più piccola, bloccata, come fosse imprigionata dentro un incantesimo cattivo. Prova anche lei questa sensazione e se la risposta è sì da cosa reputa sia dettato questo sentimento?
Credo che questo sentimento sia dettato principalmente dal fatto che quando visiti una città come turista o per lavoro frequenti le parti più curate e d’interesse. Per conoscere realmente i pregi e difetti di una città devi viverla non solo “attraversarla”. Torino ha da sempre la vocazione di capitale nel DNA ma non riesce a sfruttare appieno il suo potenziale. È patria di grandi invenzioni, qua sono nate grandi aziende e brand, grandi scrittori hanno tessuto le lodi di Torino ma come una eterna cenerentola quando arriva il momento di fare il grande salto si blocca. Il limite probabilmente siamo proprio noi torinesi che difficilmente riusciamo a fare squadra per raggiungere gli obiettivi e per difendere il nostro patrimonio di eccellenze.
Il dibattito sul futuro di Torino, su cosa voglia divenire, cosa ambisca a rappresentare, quale tipo di identità desideri per sé e i suoi abitanti sembra inabissarsi e virare ad un pensiero che verte solo sui conti, sui debiti, sulle spese; una grande liquidazione dei progetti e dei sogni. Come siamo arrivati a questo?
Una grande responsabilità è da addebitare alla gestione di Chiamparino e Castellani delle Olimpiadi, sia dal punto di vista economico sia per la gestione del patrimonio di infrastrutture che ci ha lasciato. Dal punto di vista economico l’ex sindaco di Torino difende il Toroc, peccato che numerose piccole aziende sono fallite proprio a causa dei debiti non pagati da questo Ente. Ancora oggi Torino è la città più indebitata d’Italia ma nessuno si assume la responsabilità di questa situazione, anzi continua a pontificare. Credo però che il fallimento più grande sia da ricercare nell’incapacità di dare un dopo a tutte quelle strutture che abbiamo realizzato. Gli investimenti per realizzare grandi opere sono doverosi ma devono poi creare reddito per la Città e il Paese: su questo punto non si è avuta inventiva e si sono alimentati solamente i soliti carrozzoni ispirati al “provincialismo”. Torino come sottolineato dal Rapporto Rota è nuovamente una città in declino ma una certa classe politica fa lo struzzo perché accettandolo dovrebbe bocciare il suo operato.
Cosa sarebbe opportuno fare per ripristinare la fiducia, grinta, carattere alla città? Trovare un modello da seguire, che so Amsterdam o Londra, per dinamismo e opportunità, o dobbiamo individuare e inventarci un’altra strada?
Riavere le Olimpiadi del 2026 a Torino sarebbe stata una grande opportunità per correggere gli errori fatti nel 2006. Quell’evento lo posso riassumere con la frase “l’operazione è riuscita ma il paziente è morto”. Torino non è morta ma è in coma e sicuramente i capitali che affluiscono durante un grande evento, se ben spesi e con un progetto d’ampio respiro e non finalizzato solo ai Giochi in sé, potevano aiutarci a sbloccare l’encefalogramma piatto. Appendino e il Movimento Cinque Stelle hanno perso questa occasione, fallendo l’opportunità di mettersi in gioco per non limitarsi a gestire l’ordinario cercando di dare una nuova impronta alla Città. Ora, con risorse limitate è tutto più difficile. Credo che sarebbe necessario lanciare un grande piano insieme con le Fondazioni bancarie e i torinesi di buona volontà che vogliano scommettere su una nuova missione. L’industria 4.0 ridurrà il numero di posti di lavoro, è una rivoluzione che non possiamo fermare ma che dobbiamo governare.
Torino potrebbe candidarsi ad essere la capitale della formazione del capitale umano italiano: ne abbiamo le capacità e possediamo una rete di Università, enti professionali e centri di ricerca che potrebbero darci una mano in tal senso.
La politica possiede ancora la capacità di coinvolgere e costruire un’appartenenza, ha perduto la pietra focaia che accende passioni o semplicemente ha smesso di usarla?
Tanti incolpano le leggi elettorali per aver allontanato i cittadini dalla politica. Credo in verità che sia la società fluida che viviamo oggi che li ha disaffezionati. Un po’ i ritmi dettati dal lavoro, la crisi internazionale che ha portato ad un incremento impressionante di disoccupati, la riduzione di risorse disponibili per la politica e quindi l’idea che essa non risolva i problemi, la caduta dei valori tradizionali del nostro Paese: tutte queste criticità messe insieme hanno portato sempre di più gli italiani a firmare una cambiale in bianco verso i politici che non sempre sono in grado di ascoltare e rispondere alle istanze che vengono proposte. Un tempo il politico veniva “sposato” dal suo elettorato che lo seguiva nella sua progressione di posizioni istituzionali: da consigliere di circoscrizione fino a parlamentare. Oggi è tutto umorale e questo fa male al Paese.
A cosa attribuisce il fatto e la responsabilità di non vedere e sottostimare le cose meritevoli e buone del nostro Paese?
Semplicemente dal fatto che fa più rumore l’albero che cade che la foresta che cresce! Credo che i media abbiano in parte una grande responsabilità in tal senso, avendo dato fiato alle risse e ai pettegolezzi. È stato un compromesso al ribasso dove politica e media hanno giocato una partita pessima imbarbarendo il dibattito e portando anche l’opinione pubblica a diventare rissosa.
C’è un libro, un film o uno spettacolo teatrale che a suo dire rappresenti al meglio il nostro tempo e prefiguri un indizio interessante per il domani?
Ce ne sono molti che rappresentano bene il nostro tempo, credo però che il domani ce lo costruiamo noi giorno per giorno con le nostre scelte, l’etica, i valori in cui crediamo, i sì e i no detti al momento giusto. Quindi è tutto in divenire: dobbiamo solo avere il coraggio di non accettare il peggio che vediamo oggi ma puntare al meglio evitando di cadere nella trappola di chi punta solo il dito incolpando qualcun altro.