GazzettaTorino, ha deciso di raccogliere opinioni, pareri, punti di vista, sul futuro della città, rivolgendo sei domande, sempre le stesse, a persone impegnate a diverso titolo nella società, nella politica e nella cultura, su un tema rilevante del dibattito pubblico, a nostro avviso trascurato: la Torino di domani.
La città appare in questo momento, come si suol dire “sotto lo zelo di Abramo”, ossia pronta ad essere sacrificata senza sapere bene per chi o per che cosa. E noi, come Isacco, vorremmo che alla fine si salvasse.
Marco Giusta è Assessore della Città di Torino con delega su Politiche Giovanili, Pari Opportunità, Politiche per la famiglia, Politiche a sostegno di Torino Città Universitaria, lo ringraziamo per la partecipazione a Torino Domani.
Dopo un viaggio all’estero, al rientro la città e talvolta l’Italia tutta appare più piccola, bloccata, come fosse imprigionata dentro ad un incantesimo cattivo. Prova anche lei questa sensazione, e se la risposta è si da cosa reputa sia dettato questo sentimento.
Ne ho discusso molto con alcuni amici nei giorni scorsi. La sensazione riguarda il paese, a mio avviso, con una forte regressione a comportamenti e modi di pensiero più involuto rispetto a ciò a cui eravamo abituati. La solitudine, il fallimento delle politiche di welfare, la scelta economica di sostenere la finanza liberista hanno creato un sentimento diffuso di paura e instabilità, che spesso trova capri espiatori in gruppi sociali a cui viene tolta la dignità anche nella narrazione quotidiana e politica. Ma penso e spero sia possibile ripartite da qui anche per provare a dare nuove risposte innovative, basate sul senso di comunità, sui beni comuni, su forme altre di economia che debbano partire dalle città ribelli e trasformarsi in pratica politica.
Il dibattito sul futuro di Torino, su cosa voglia divenire, cosa ambisca a rappresentare, quale tipo di identità desideri per se ed i suoi abitanti sembra inabissarsi e virare ad un pensiero che verte solo sui conti, sui debiti, sulle spese; una grande liquidazione dei progetti e dei sogni. Come siamo arrivati a questo?
Non è mia abitudine puntare il dito indicando altrove le responsabilità, e non lo voglio fare nemmeno questa volta. Certo però che se per anni si vive al di sopra delle proprie possibilità senza riuscire a costruire un processo reale di crescita e ridistribuzione sul territorio allora ad un certo punto occorre adottare un approccio serio di salvaguardia dei conti pubblici e dei servizi della città. Credo sia più corretto essere diretti e sinceri sullo stato economico piuttosto che tirare avanti a panem et circenses. Detto questo Torino ha grandi potenzialità, che possono e devono essere sfruttate e rilanciare, senza stare ad inventarsi nulla di nuovo ma valorizzando la capacità innovativa della città e attuando, nel tempo, una politica keynesiana di sostegno alle realtà e ai progetti individuali e collettivi.
Cosa sarebbe opportuno fare per ripristinare fiducia, grinta, carattere, alla città ? Trovare un modello da seguire, che so Amsterdam o Londra, per dinamismo e opportunità, o dobbiamo individuare e inventarci un’altra strada ?
Come detto sopra non penso ci sia quasi nulla da inventare , e copiare senza adattare funziona solo su aree omogenee per cultura tradizione e funzionamento. Penso che l’unica vera necessità urgente è quella della semplificazione delle procedure e delle azioni amministrative che frenano molte possibilità delle realtà associative e imprenditoriali. Questa dovrebbe essere la priorità.
La politica possiede ancora la capacità di coinvolgere e costruire un’appartenenza, ha perduto la pietra focaia che accende passioni o, semplicemente ha smesso di usarla?
A mio avviso invece c’è fame di politica, lo vedo parlando con le cittadine e cittadini e girando per la città. Una politica che però sua lettura del presente, capace di produrre soluzioni concrete, specifica pur nella teorizzazione della complessità. I partiti di massa e la tradizione politica del 900 sono oggi in crisi non tanto, a mio personale avviso, per una sfiducia nella necessità di governo di un percorso condiviso, quando nella poca capacità di costruzione appunto di un progetto, di una rilettura del mondo attuale. Ad esempio, è evidente la necessità di porre tra gli obiettivi quello della redistribuzione della ricchezza così come la messa in discussione dell’attuale sistema economico e oserei dire produttivo, eppure vedo davvero poche proposte in tal senso, ancor meno concretezza nella possibilità di realizzarlo. I progetti politici ormai devono avere necessariamente un respiro transnazionale, che possa influire sulle istituzioni e nella modifica di un attuale quadro che evidentemente non risponde più alla necessità dei cittadini e cittadine. A questa fame non si risponde con nomi o sigle, quanto piuttosto con la capacità di generare idee e riconoscere una cornice di valori all’interno della quale darne attuazione.
A cosa attribuisce il fatto e la responsabilità di non vedere e sottostimare le cose meritevoli e buone del nostro paese?
Forse il sistema di condivisione delle informazioni sta plasmando anche la “classifica” delle stesse. Su dettato della necessità di guadagno molti articoli trovano una vasta condivisione facendo appello all’insoddisfazione generale che si auto alimenta proprio dalla diffusione delle notizie più eclatanti. Il lento “fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce” è descrittivo di questa situazione che si potrebbe interrompere tornando a quella bellissima massima attribuita forse erroneamente a Socrate che recita ‘prima di parlare assicurati di tre cose: le tue parole sono vere? Sono utili? Sono gentili?’
C’è un libro, un film, o uno spettacolo teatrale, che a suo dire rappresenti al meglio il nostro tempo e prefiguri un indizio interessante per il domani ?
Probabilmente Amleto, ma probabilmente anche qualunque testo o spettacolo che affronti la visione della società in una fase di disgregazione o decadenza. Uno su tutti declino e caduta dell’Impero romano di Gibbon, che ha ispirato molti altri romanzi e racconti, come ad esempio la trilogia di Asimov. Per quanto riguarda il futuro, consiglio il manifesto accelerazionista di Lex Williams e Nick Srnicek.