PELLE La superficie profonda
Un tema audace e al tempo stesso delicato quello scelto per la diciottesima edizione di Torino Spiritualità svoltasi dal 29 settembre al 2 ottobre. “Pelle”: questo il titolo. Lo spiega il curatore Armando Buonaiuto: “l’epidermide rivela moltissimo di ciò che siamo, è archivio intimo, mappa, memoria, al punto che ogni traccia della nostra pelle è la marca di un’individualità” e aggiunge “è importante ragionarci su, e vale la pena farlo anche puntando a un orizzonte spirituale in cui salvarsi la pelle e salvarsi l’anima siano lembi che possono infine toccarsi”.
Tra il fitto programma di incontri sul tema, colto nelle più affascinanti e poliedriche prospettive, accenno alle riflessioni di tre grandi ospiti, che da punti di vista differenti hanno accompagnato il pubblico nelle profondità che si aprono sotto la pelle degli uomini e delle donne di ogni tempo.
Vito Mancuso è partito dalle ferite del corpo e dello spirito che le parole dei classici possono curare come balsami eternamente validi. Tra questi, il “Diario” di Etty Hillesum e alcuni testi e lettere di Abert Schweitzer. “La ferita di Etty è la nostra” sostiene Mancuso intendendo “il non senso del mondo, quando manca lo scopo, la meta.” Domanda inquietante che da sempre accompagna l’uomo, una tendenza al nichilismo che gli antichi contrastavano e contrapponevano al Bene, mentre Etty Hillesum accoglie in sé questa antinomia di vita e morte, di anima e corpo, come elementi di un processo che si compie anche passando dal senso del limite e del negativo.
Quale soluzione è possibile? Mancuso cita la soluzione di Albert Schweitzer tratta dal libro “Dove comincia la foresta vergine”: il famoso medico visse la forte contraddizione tra le ferite degli uomini e la bellezza della natura circostante, ma fu illuminato dall’idea di portare “riverenza verso la vita” e di mettersi a servizio degli altri. Similmente Etty Hillesum, donna libera capace di sacrificarsi per gli altri nella dura vita nel Lager, scrive che siamo noi a dover aiutare Dio (“Difendere la tua casa in noi”) e in questo modo aiutiamo noi stessi. Senza aspettare il miracolo. Parole che invitano ad andare oltre le ferite, a toccarne il dolore, ma anche la profondità rigenerante, dove respira l’anima.
Dall’anima alla psiche: Massimo Recalcati si è inoltrato ben al di sotto della superficie della pelle, accennando alle dermatiti che rivelano cause profonde, dalla patologia di chi teme che gli odori del cibo penetrino nella pelle e facciano ingrassare al caso della “pelle dura” di chi è impermeabile alle emozioni e all’amore. Forse la situazione più inquietante. “La pelle che teme il mare – spiega – la pelle che rifiuta il brivido di essere toccata da ciò che è ignoto e turba, anzi disturba, come l’estraneo, l’immigrato”. E aggiunge: “C’è un desiderio fascista in ognuno di noi, si rischia di essere anime spezzate, impaurite dal mare, e che cercano un padrone.”
Il noto psicanalista passa quindi alle parole delle Sacre Scritture che nobilitano la corporeità: cita il “Cantico dei cantici”, i passi dell’esaltazione erotica della pelle, quindi il Vangelo in cui Gesù spiega che l’impurità non è sulla pelle ma nei cuori. Infine, sullo sfondo del celebre dipinto di Caravaggio in cui Tommaso mette il dito nelle piaghe di Cristo Risorto, Recalcati conclude sottolineando che non c’è anima senza corpo, che anche le apparizioni di Gesù alla fine dei Vangeli ribadiscono la presenza del corpo e delle ferite come elementi innegabili nella vita.
Interessante e sorprendentemente attuale la riflessione sul tema della corporeità offerta dal latinista Nicola Gardini. Partendo dalle “Metamorfosi” di Ovidio, Gardini ha illuminato alcuni miti di trasformazione in cui il corpo può essere interpretato come spazio politico, talvolta negoziato e martirizzato da un’autorità repressiva: nel testo è sempre un dio che trasforma i corpi “abbassandoli” di dignità, ma si può leggere l’allusione ad Augusto e alla sua azione punitiva del dissenso. Così il musico Marsia scuoiato da Apollo che grida “perché mi strappi a me stesso?” richiama la figura del poeta, esiliato da Augusto: Marsia viene distrutto nel corpo, ma nel momento in cui gli amici lo piangono e ne viene scritto per la prima volta il nome proprio, ci dimostra che, se il corpo è annullato, resta il nome, e per sempre. “Il nome è il vero corpo!- esclama Gardini – Come quello di Dafne, donna ribelle ad Apollo, che, trasformata in alloro, sarà destinata ad eternare la fama di guerrieri, poeti e…di se stessa.”
E il messaggio di Ovidio suscita un brivido tra il pubblico, dal momento che proprio a pochi metri dalla sala conferenze si sta svolgendo, in piazza Carignano, la manifestazione per ricordare il nome di Masha, la ragazza iraniana uccisa nel corpo che non ha voluto velare, ma che resterà viva per sempre.
Ecco il senso dei classici: opere che durano per sempre, che penetrano sotto la pelle, che parlano agli uomini di tutti i tempi, voci preziose da cogliere e da scegliere come compagne di vita.
Chiara Tamagno