Giustizia in bilico: il lungo cammino di Padovano “Tra la Champions e la libertà”.
Dalla condanna al trionfo: la battaglia dell’ex attaccante della Juventus per la verità, il suo messaggio di speranza e il suo appello per la riforma della giustizia
In Italia, la giustizia si è rivelata fallibile, come dimostrato dal recente caso -probabilmente l’errore giudiziario più grave della storia italiana – di Beniamino Zuncheddu, l’allevatore sardo assolto dopo 33 anni di carcere, dalla Corte d’Appello di Roma per il triplice omicidio di Sinnai del 1991. Nel 2022, stando alle ricerche condotte dall’associazione Errorigiudiziari.com, in Italia si sono registrati 547 casi di ingiuste detenzioni ed errori giudiziari, con costi di risarcimento di 27 milioni 378 mila euro. Pensando a questi fatti, la memoria ci riporta immediatamente ad un caso altrettanto recente, quello del torinese Michele Padovano, anche lui vittima di una condanna ingiusta.
Il caso di Padovano – ex attaccante della Juventus campione d’Europa nel 1996, con un passato anche nella Reggiana e nel Genoa, e una carriera da dirigente sportivo– fa riflettere sulle profonde carenze del sistema giudiziario, nonché sulla necessità di migliorare un sistema che, quando fallisce, distrugge vite innocenti.
Lo abbiamo intervistato a ridosso dell’uscita del suo libro, “Tra la Champions e la libertà”, edizioni Cairo, prevista per il 13 febbraio. La biografia sarà presentata a Torino il prossimo 26 febbraio, alle ore 18, presso la Feltrinelli di P.zza C.L.N. 251. Nell’opera, Padovano descrive il suo percorso personale, dove il carcere diventa personaggio inaspettato, quello di un maestro di vita che insegna la preziosità di ciò che normalmente si dà per scontato.
Accusato di traffico di stupefacenti nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Torino, la vicenda di Michele Padovano è iniziata con il suo arresto il 10 maggio 2006 e si è conclusa il 31 gennaio del 2023, dopo una lunga battaglia legale durata 17 anni, caratterizzati da sofferte privazioni e dal peso del pregiudizio sociale. Nonostante l’annullamento delle condanne nel 2021 da parte della Cassazione, ci sono voluti ancora altri due lunghi anni per arrivare all’assoluzione. Il caso, originato da un prestito di denaro ad un amico d’infanzia, ha messo in luce le criticità del sistema giudiziario italiano, sollevando domande sulla responsabilità della magistratura nell’evitare errori giudiziari e sull’importanza di meccanismi di controllo più efficaci e processi più celeri.
Michele, qual è il primo pensiero che ti viene in mente riguardo ai 17 anni di lotta per dimostrare la tua innocenza?
“Finalmente ne sono uscito: la libertà è arrivata. I 17 anni di calvario giudiziario sono finiti. Questo è il primo pensiero in assoluto. Prima, ogni giorno sotto quella spada di Damocle era un tormento, ma ora posso respirare, guardare al futuro in maniera più serena. È una sensazione che non si può paragonare a nulla nella vita”.
Rammenti la tua reazione alla notizia dell’assoluzione?
“Ho provato una gioia che trascende le parole, un momento di puro sollievo condiviso con mia moglie e mio figlio: insieme abbiamo pianto. Devo confessare che, quando venni arrestato, rimasi basito dall’assurdità della mia condanna. Quanto mi stava succedendo era inconcepibile: la mia innocenza era evidente, sostenuta da fatti, non solo parole. Poi, quella delusione iniziale si trasformò in feroce determinazione che mi spronò in una battaglia per la verità. Devo ammettere che questa vicenda è stata un’esperienza straziante, vissuta in un misto di sensazioni talmente intense e personali tanto che risultano difficili da descrivere, come lo era l’indescrivibile euforia di un trionfo sportivo come la Champions”.
Riguardo al trattamento ricevuto dalla stampa e dall’opinione pubblica, credi sia stato equo?
“Durante l’arresto e il processo, i media non hanno considerato l’impatto delle loro parole sulla mia famiglia, che era particolarmente vulnerabile. Credo che, in questi frangenti, la comunicazione richieda maggiore prudenza, soprattutto quando il processo legale è ancora in corso e non tutti i gradi di giudizio sono stati definiti. Ho percepito un eccesso di zelo da parte dei media nel trattare il mio caso”.
Cosa pensi del sistema carcerario?
“Il sistema carcerario è un disastro totale e richiede un’urgente riforma. Le condizioni di detenzione sono inumane, con carenze igieniche critiche come l’assenza di docce nelle celle e servizi igienici inappropriati vicino alle aree cucina. Ma il peggio è stato quando inizialmente ho passato 10 giorni in isolamento nel carcere di Cuneo, una situazione che non augurerei a nessuno. Psicologicamente, è stato un colpo duro, e ho cercato di tenere la mente occupata con esercizio fisico e lo studio del mio caso. Non immaginavo che ci sarebbero voluti 17 anni per dimostrare la mia innocenza. Dopo la seconda condanna in appello, ho assunto gli avvocati Giacomo Francini e Michele Galasso, che hanno fatto un lavoro eccezionale analizzando a fondo il caso per far emergere chiaramente la verità”.
Riguardo alla magistratura, ritieni che la responsabilità personale dei magistrati sia proporzionata rispetto al potere di cui dispongono?
“La magistratura andrebbe riformata: questi ritardi eccessivi nel processo giudiziario, ad esempio, sono assurdi. Non è accettabile che una persona rimanga in sospeso per anni. Ritengo fondamentali riforme nelle procedure e nella separazione delle carriere giudiziarie. Sono convinto che sia preferibile un colpevole a piede libero piuttosto che un innocente in prigione. La giustizia deve operare con maggiore efficacia in questi casi, anche se non mi considero un esperto per approfondire ulteriormente l’argomento. Detto questo, personalmente, non ho mai perso la speranza che qualcuno avrebbe esaminato i miei documenti con attenzione, liberandomi da questa ingiusta situazione. E così è stato”.
Basandosi sulla tua esperienza, cosa consiglieresti a coloro che si trovano in una situazione simile a quella che hai vissuto tu?
“Direi di non arrendersi, mai. Chi è certo della propria innocenza deve combattere con tutte le proprie forze fino all’ultimo. È normale sentirsi scoraggiati e molte battaglie si perdono per la disperazione, ma è essenziale resistere. Anche quando sembra che la giustizia non sia dalla tua parte, non si deve smettere di lottare incessantemente per far trionfare la verità e senza la lotta il pericolo di una sentenza di colpevolezza è imminente”.
Quali sono i tuoi piani per il futuro?
“Attualmente sto valutando opportunità nel mondo del calcio. Sono stato contattato da Coverciano, ma per ora attendo ulteriori sviluppi. Sono ottimista e auspico un incarico significativo che possa, in qualche modo, compensare ciò che ho perso. La mia storia potrebbe essere di insegnamento per le nuove generazioni, trasformando un’esperienza negativa in qualcosa di costruttivo. Sono aperto a proposte e curioso di vedere cosa mi riserverà il futuro”.
Hai ricevuto un risarcimento per l’ingiusta detenzione?
“Gli avvocati stanno gestendo la questione del risarcimento. Al momento non ho ricevuto aggiornamenti”.
Sei stato supportato da organizzazioni o gruppi che aiutano le persone ingiustamente incarcerate e da amici?
“Ho ricevuto sostegno solo dalla mia famiglia. Spesso le persone offrono parole a priori ma si allontanano quando arriva il momento del bisogno. Non serbo rancore, ma avrei agito diversamente se mi fossi trovato dall’altra parte. Quando la mia carriera e le opportunità di dirigente sono state compromesse, molti si sono distanziati, tranne Gianluca Presici e Gianluca Vialli, con cui condividevo un forte legame. Con Vialli vi era una grande affinità caratteriale, sento molto la sua mancanza. L’assenza degli altri l’ho accettata, ne ho preso atto e ho proseguito per la mia strada”.
Lara Ballurio