Al tema del sogno è stata dedicata la 20esima edizione della Giornata europea per la cultura ebraica svoltasi domenica 15 settembre.
“I sogni – una scala verso il cielo”, questo il titolo che fa riferimento a passi della tradizione biblica e talmudica, ma che ripropone anche una dimensione ricorrente nella letteratura, nella psicanalisi e rappresenta un richiamo quanto mai attuale per guardare con speranza al futuro personale, sociale e politico.
La Giornata internazionale ha coinvolto 34 Paesi e, in Italia, 88 località. Quest’anno la città capofila è stata Parma, sede di una comunità ebraica le cui origini risalgono al XIV secolo e dove, nella Biblioteca Palatina, sono conservati alcuni tra i più antichi manoscritti e libri a stampa ebraici.
In Piemonte si sono realizzate numerose iniziative volte a far conoscere la cultura ebraica e a Torino, in particolare, oltre alle visite guidate alla sinagoga, all’antico ghetto e al cimitero monumentale, si è svolta la conferenza dal titolo “Un sogno non interpretato è come una lettera non letta (TB Berakhot)” a cura del rabbino Ariel Di Porto e della psicanalista Rosamaria Di Frenna.
Un tema affascinante, come sottolineato dagli interventi delle autorità che hanno dato avvio alla giornata: dai rappresentanti della municipalità torinese a quelli della Regione e della Circoscrizione, al Comitato Interfedi e ai rappresentanti delle altre confessioni religiose, tutti hanno sottolineato come la capacità di sognare abbia aperto prospettive nuove, che a Torino hanno già prodotto frutti di solidarietà e collaborazione nel rispetto della diversità.
Giornata europea per la cultura ebraica
Proprio a Torino, infatti, prese avvio l’idea della Giornata di promozione della cultura ebraica nel 1999 e da allora sono maturate parecchi progetti e soprattutto una mentalità radicata nel rispetto e nella proficua collaborazione. Nella Biblioteca della comunità ebraica torinese si è radunato un pubblico numeroso e variegato, interessato alla conferenza sul sogno, momento centrale della Giornata di approfondimento culturale.
Il rabbino Ariel Di Porto ha approfondito il valore attribuito al sogno nel tempo antico, con riferimenti al testo biblico e al Talmud, dove il contenuto del sogno era considerato rivelatore di un messaggio di Dio, tale da richiedere un’interpretazione difficile e conforme a un codice che solo pochi possedevano. Una responsabilità che influenzò le decisioni di singoli personaggi e di popoli, bramosi di ottenere la benedizione del Cielo. Prima ancora di Freud, nel XVI secolo Shlomò Almuli scrisse “L’interpretazione dei sogni” in cui offriva un glossario dei simboli onirici che ebbe molto successo fra gli ebrei dell’Europa orientale. Di Porto ha ricordato che per un ebreo non avere sogni è una condizione avvilente e che, come scritto nel Talmud, “fra un sogno buono e uno cattivo è preferibile uno cattivo, perché condurrà ad esaminare la propria coscienza e a pentirsi.”
La prof.ssa Rosamaria Di Frenna, psicanalista torinese, è partita da una domanda interessante: “Dopo 120 anni di psicanalisi il sogno è ancora “la via regia” indicata da Freud per risalire alle strutture psichiche della persona? Pare di no, o almeno non così radicalmente, nel senso che oggi il terapeuta lavora “con” i sogni del paziente e non solo “sui” sogni, ovvero con una sorta di interpretazione condivisa.
La Di Frenna ha sottolineato la centralità del pensiero di Freud sul valore dato al sogno e il salto rivoluzionario nel considerarlo non più un messaggio inviato dall’esterno bensì un prodotto psichico, condizionato da vari fattori. La psicanalista torinese ha ricordato quindi il passaggio dall’interpretazione dei sogni proposta da Freud all’intuizione di Melany Klein che vedeva nei giochi dei bambini le stesse dinamiche e simbologie presenti nei sogni dell’adulto. Un accenno a Winnicot, a Bion e infine una riflessione originale su Primo Levi che, tornato dal Lager, era tormentato da un sogno ricorrente: sognava l’alba tragica vissuta nel campo di sterminio, l’ordine perentorio di svegliarsi, ma anche il tentativo di raccontare ai famigliari che però, sempre nel sogno, se ne andavano come disinteressati al dramma.
Un sogno angosciate, di cui la dott.ssa Di Frenna ha offerto una sua originale interpretazione: “i famigliari che se ne vanno rappresentano gli oggetti interni buoni che non avallano le atrocità e per questo si allontanano rimanendo garanti della vita vera. Come se per sentirsi vivo, Levi affidasse agli oggetti più cari la propria estraneità al male”. Allora un sogno, anche se inquietante, può aprire nuovi orizzonti di vita.
Chiara Tamagno