La fotografia nell’arte moderna e contemporanea
Nel 1972, un venticinquenne Stephen Shore lascia New York per la prima volta. Parte in auto con un amico che vuole fare un salto al suo paese d’origine: Amarillo, nel Texas. Lui non guida, così la sua prima visione dell’America avviene dal finestrino del passeggero. Durante il viaggio si rende conto con stupore che la sua vita newyorchese ha davvero ben poco in comune con i luoghi e le persone che incontrano. Nello stesso anno parte di nuovo, questa volta da solo e fresco di patente. Porta con sé una piccola fotocamera Rollei 35 a ottica fissa e comincia a fotografare tutto quello che attira la sua attenzione. Shore fotografa davvero senza risparmio e torna a New York con centinaia di rullini di pellicola negativa a colori da sviluppare.
Da quelle fotografie nacque poi la famosa e ampia serie che Shore intitolerà American Surfaces. Il riferimento era alla natura superficiale dei suoi brevi incontri e al carattere “americano” che sperava avessero le sue immagini. Un atteggiamento progettuale questo che aveva di certo assorbito nella sua adolescenziale frequentazione della Factory di Andy Warhol.
Per rimanere fedele ai fondamenti concettuali del progetto, seguì il metodo della gran parte dei turisti dell’epoca e mandò i rullini a sviluppare e stampare nei laboratori Kodak nel New Jersey. Il risultato furono centinaia e centinaia di stampine a colori postcard size (4×6″) all’apparenza indistinguibilmente volgari e banali come le innumerevoli prese da anonimi fotografanti, ma che proprio per questo diventarono un documento senza precedenti della vita americana negli anni Settanta. Un lavoro e un viaggio che, sulla scia di Walker Evans e Robert Frank, contribuirà a portare avanti l’iconografia della scena americana nella nostra memoria collettiva, consegnandola alle generazioni successive per nuovi viaggi di ricognizione dell’idea visiva di America. Sempre diversa e sempre uguale a se stessa.