Definita la nuova campagna di comunicazione della città in occasione degli Eurovision e per gli appuntamenti di primavera ed estate 2022: una foto e un claim.
Abbiamo interpellato un esperto di comunicazione, Silvio Saffirio, per accogliere un suo parere/giudizio perché a primo avviso ci ha lasciato perplessi. Quindi meglio che ad analizzare la proposta del Comune sia chi ha dedicato la propria vita professionale a costruire un immaginario visivo.
Preciso che non sono al corrente di chi abbia fatto il lavoro e che meriti o critiche vanno comunque indirizzati a chi la comunicazione la firma ovvero in questo caso al Comune di Torino. I pubblicitari servono spesso à la carte più soluzioni e non è raro che il Committente le ibridi ulteriormente.
Chi ci mette la faccia nel bene o nel male è dunque lui.
Mi trovo un po’ a disagio di fronte al messaggio “Torino, che spettacolo!”. In tempi ormai lontani si diceva nel nostro mondo che soluzioni così erano piuttosto dei “brief” che delle vere soluzioni creative. Mi spiego meglio: vogliamo ispirare ai visitatori il senso di una città spettacolare?
Forse allora occorre maieutica, dobbiamo fare sì che questa considerazione nasca nel nostro interlocutore, stimolare in modo che esca da lui, sia sua, piuttosto che dirlo noi tanto esplicitamente col grande rischio di favorire invece pensieri che nascono dallo spirito di contraddizione, croce e delizia di noi italiani.
Ma il problema è più vasto: una moderna metropoli dovrebbe avere da tempo una linea, un disegno e uno stile di comunicazione coerente, fantasioso e persistente. Qualcosa di solido e permanente che non cambia neppure se le Elezioni comunali le vincesse l’opposizione.
Una metropoli è un brand e qui si sprecano gli esempi ma tra questi non c’è che io sappia nessuna città italiana. Immagino il povero Assessore che dicesse questo in un’Aula consigliare…
È così. Sulla soglia degli anni ’60 stavamo per diventare un Paese moderno, il benessere e l’occupazione crescevano, facevamo prodotti belli – inventammo, sì inventammo il design tanto per dire. Poi qualcosa di non ancora ben chiarito avvenne e ci retrocedemmo e la caduta continua.
Anche nella pubblicità avvenne questo: a Clienti e Dirigenti preparati e in ogni caso esigenti e rispettosi della professionalità di un nuovo mestiere che dava voce e reputazione alle loro Imprese succedettero figure sempre più improvvisate. Questo nel settore privato, figuratevi in quello pubblico.
Eppure io ricordo ancora l’Assessore Fiorenzo Alfieri, le sue improvvisate nella mia Agenzia, le quattro chiacchiere entusiaste e concitate dalle quali usciva il nome di un evento, tanto per dire “Luci d’Artista” che inizialmente Fiorenzo pensava di chiamare “Luci della città” ma mi bastò poco a fargli comprendere che il portato principale di quella iniziativa era che le luminarie fossero proprio create da artisti dei quali Torino abbondava. Così fu per molte altre cose come Sistema Musica, i Punti Verdi ecc.
Fiorenzo non mi chiese mai neppure per semplice forma se le nostre consulenze avevano un costo e questo è uno dei ricordi più deliziosi che conservo di quel grande uomo. Era l’Assessore alla Cultura e succhiava consigli a un cittadino che lui giudicava interessato al futuro della nostra città, come in effetti era. Ma non si può dipendere dal portato di figure eccezionali, occorrerebbe normalizzare molte funzioni come quella del messaggio che una Città deve fornire in primo luogo ai suoi cittadini e poi agli ospiti e anche a chi magari non ci verrà mai.
Una città deve avere un’immagine, deve essere desiderabile conoscerla e magari andarci a vivere.
Non ne siamo sempre stati privi. Né del concept verbale (Turin always on the move, ricordate) né di una certa continuità di comunicazione. Ma occorreva naturalmente che dopo quel vero miracolo collettivo e municipale delle Olimpiadi invernali 2006 si continuasse a dare nei fatti a ogni evento quel carattere di città fantasiosa e iperattiva che invece per mille ragioni venne meno.
Anche qui occorre ripartire da zero, occorre che l’Amministrazione comunale non abbia timore delle critiche bigotte a metodologie di lavoro della comunicazione che in tutto il mondo sono omologate da molti decenni. Occorre soprattutto che si individui il nuovo nucleo non tanto di comunicazione ma di ciò che vogliamo diventare come città. La comunicazione metodica e coerente sarà poi un aiuto prezioso per cercare di diventarlo. Sì, perché la comunicazione influisce in primo luogo proprio sugli attori ovvero la cittadinanza che a certe condizioni fa suo il messaggio. Non per passione, semplicemente perché essere cittadini di una città che fa tendenza conviene ai cittadini stessi.