Continua la programmazione della Project Room di Davide Paludetto in via degli Artisti 10 con il progetto Tradere di Sacha Turchi (Roma, 1988) visitabile sino al 13 maggio.
Le due stanze che si affacciano su strada sono state letteralmente invase da 200 bambole di pezza di bianco candore appoggiate a terra e volutamente disposte come se seguissero la corrente di un fiume, simili tra loro, neutralizzate e moltiplicate dalla totale assenza di connotazioni individuali, in realtà tutte diverse per tipologia di stoffa e misura. L’impatto visivo viene affiancato e per certi versi superato da quello olfattivo e sonoro: un effluvio intenso di lavanda, un suono ritmico e intenso, cadenzato, avvolgono lo spettatore in un progetto che si rivela esperienza sinestetica, olistica, fortemente emotiva, in grado di stimolare connessioni immediate e inconsce: i fantocci, ma sarebbe meglio dire feticci, sono in realtà le dagide, le piccole bambole di pezza che si realizzavano anticamente da ciò che rimaneva dei tessuti del corredo tramandato e ormai logoro; riempite di lavanda, assolvevano anche ad altra funzione, oltre a quella di gioco.
Tradere si collega all’omonimo latino riprendendone quindi il significato di tramandare, offrire, trasmettere: la tradizione legata al corredo diventa metafora del ciclo generativo della vita da madre in figlia, un fluire lento, continuo, primordiale, naturale, così come la lavanda, così come il suono ancestrale che procede senza posa.
L’installazione viene accompagnata da una serie di sculture che richiamano la struttura ossea umana (un coccige, non a caso, deposto tra le bambole) chiamata alla trasformazione, anche dolorosa, nel momento della riproduzione: si noti in particolare la scultura a parete, Spongia (ferro, tessuto, calcio, collagene, magnesio, ossido di zinco, amidi vegetali, 2015) realizzata in laboratorio con materiali che imitano la sostanza delle ossa umane. Spongia è evocazione antropomorfa e biomorfa, e allo stesso tempo una macchina costruita a misura d’uomo che idealmente permetterebbe ad esso di aprirsi afferrandosi ad essa. Le braccia si tengono a due maniglie e la macchina, schiudendosi, esattamente come farebbe un fiore, schiude anche il petto della persona.
Anche Spongia dunque diventa metafora del ritmo lento dell’evoluzione, in una ricerca continua e coerente (si veda l’installazione Ortho Spinalis realizzata al Castello di Rivara nel 2016), talvolta performativa da parte della giovane artista romana, di rendere metafisica ed introiettiva un’esperienza che è fortemente legata alla concretezza della natura, alla ineluttabilità generatrice della riproduzione, all’energia della materia, qualunque senso essa coinvolga.
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