Unione Musicale.
Al Quartetto Hagen in una intervista la giornalista Laura Brucalassi rivolge una domanda premurosa, precisa e sempre attuale, la risposta che ne riceve è altrettanto accorta e ricca di sensibilità.
Voi siete musicisti, insegnanti e anche genitori: secondo voi come si può favorire il contatto di bambini e ragazzi con la musica classica?
Personalmente credo in una forte connessione tra la musica che custodiamo e le idee dell’illuminismo. Per me, la maggior parte della musica è radicata in una profonda comprensione dell’umanità e nelle migliori qualità a cui gli esseri umani possono aspirare. Può essere che questo aspetto sia stato un po’ sottovalutato nell’educazione…
Considerato uno dei migliori quartetti al mondo e ritenuto un modello in termini di qualità del suono, pregio dell’assieme e varietà stilistica, l’Hagen è stato invitato regolarmente dall’Unione Musicale fin dal 1987 e ora ritorna a Torino, oggi, mercoledì 21 febbraio (Conservatorio Giuseppe Verdi – ore 21), per la prima tappa di un brevissimo tour italiano.
All’inizio erano quattro fratelli, bravissimi e affiatati, cresciuti in una famiglia di musicisti di Salisburgo: ai violini Lukas e Angelika (sostituita nel 1987 Rainer Schmidt), alla viola Veronika e Clemens al violoncello.
Avviati a una carriera speciale già quando erano allievi del Mozarteum, gli Hagen festeggiano nel 2018 trentasette anni di carriera insieme, vissuta ai massimi livelli fin primi anni, segnati dalla vittoria in numerosi concorsi internazionali e da un contratto in esclusiva con Deutsche Grammophon, oltre che dalla dedizione nella preparazione e nel perfezionamento di un repertorio sterminato, che oggi è la loro cifra caratteristica.
Negli anni i programmi dei loro concerti, accattivanti e intelligenti, hanno centrato molteplici obiettivi: da un lato hanno consolidato la tradizione interpretativa del repertorio classico (si vedano le loro pluripremiate incisioni dei Quartetti di Mozart e Beethoven), dall’altro hanno ampliato il repertorio con nuovi brani commissionati agli autori di oggi e – dato non scontato – hanno rinverdito pagine poco note, riportandole all’attenzione del pubblico.
A Torino, dopo gli apprezzatissimi concerti dedicati ai Quartetti di Mozart e Beethoven, realizzati rispettivamente nel 2006 e nella stagione 2012-13, il Quartetto Hagen presenta ora un programma incentrato sui grandi autori del Novecento con i Cinque Pezzi op. 5 e le 6 Bagatelle op. 9 di Webern e i Quartetti di Debussy e Ravel, che rappresentano le uniche composizioni per quartetto dei due grandi autori francesi.
Il Quartetto Hagen ha dichiarato: «Il fatto stesso che questi brani siano stati tutti scritti in un arco di tempo piuttosto breve e in un’epoca in cui sono avvenuti cambiamenti drammatici ci ha convinti a mettere insieme queste pagine. D’altra parte l’abbinamento permette di mettere a confronto i diversi tipi di scrittura: quella del quartetto francese, con la sua riflessione sul canone classico, e il pensiero compositivo tedesco proiettato sul futuro della scrittura del quartetto per archi».
I Cinque Pezzi op. 5, del 1909, così come le successive Bagatelle op. 9, sono brani estremamente densi e sintetici, costruiti su “motivi” di una, due, tre o quattro note. Alla dilatazione delle durate (e degli organici) della musica tardoromantica precedente Webern risponde facendo scomparire il concetto stesso di “tema”, cui si accompagna la perdita di ogni riferimento alla tonalità, alla scansione ritmica regolare, all’attenuazione delle sonorità, che raramente toccano il forte. Webern “compensa” con un’attenzione estrema a ogni minimo dettaglio: le minuziosissime indicazioni riguardanti l’intensità e il modo di produrre il suono (armonici, con l’arco, pizzicato, staccato, spiccato, con la sordina, sul ponticello, sul manico, con la punta dell’archetto).
Pierre Boulez motivava così la difficoltà di ascolto di queste pagine: «Forse la nostra tradizione occidentale non ci predispone come sarebbe necessario: l’Occidente ha sempre avuto bisogno d’un gesto assolutamente esplicito per capire ciò che gli si vuole significare».
Composto nel 1893, il Quartetto in sol minore op. 10 di Debussy presenta un il linguaggio musicale maturato sui testi poetici di Mallarmé, Baudelaire, Verlaine: cangiante e sfumato, vibra dei riverberi di luce dei dipinti en plain air di Renoir e di Sisley. Il tema sinuoso esposto nelle prime battute circola per tutti i movimenti, richiamando costantemente l’attenzione su di sé e sui suoi sviluppi, e la continua variazione su questo motivo si accompagna a un’infinità di sfumature di tempo, di ritmo, di atteggiamenti strumentali.
Ravel stesso descriveva il suo Quartetto in fa maggiore come un «contrappunto a quattro voci» dettato da una nitida «volontà di costruzione musicale», sia pur ancora «imperfettamente realizzata».
Sono parole che ben esprimono un aspetto della poetica raveliana: esattezza costruttiva, trasparenza di scrittura, esigenze di ordine che porteranno il compositore ad autodefinirsi «artificioso per natura». Il Quartetto tuttavia non è tutto qui: i commentatori ne rilevano l’esuberanza inventiva e persino un’impetuosa freschezza giovanile, un oscillare tra rigore e abbandono in un modernissimo gioco di dissimulazione tra opposti livelli.