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Il 21 e il 22 ottobre a Londra è prevista pioggia, vento e il solito, opprimente grigio fumo. Viste le previsioni, occorre difendersi; il consiglio è quello di recarsi nel quartiere di Nottin Hill, celebrato in un film dove un umile libraio finisce tra le braccia di Julia Roberts, simpatica commedia al miele tanto riuscita quanto tristemente irrealistica.
Girovagando in cerca della Roberts, varcare l’entrata dello storico teatro d’epoca vittoriana Coronet, trovare posto e lasciarsi sorprendere da Fill. Il primo Festival Italiano di Letteratura a Londra, Festival of Italian Literature in London; ad assistervi vi si aprirà un sorriso degno della diva Julia. 

Coronet

The Coronet

I temi affrontati saranno letteratura, politica, migrazioni, genere, Italia, il presente e il futuro di Londra, il modo in cui la Brexit sta già cambiando l’Europa e di conseguenza il romanzo.
Il festival nasce dalla vasta comunità letteraria italo-londinese, ed è organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura di Londra, dalla scrittrice Claudia Durastanti, da Marco Manassola, Stefano Jossa e molti altri, tra questi i non trascurabili  Salone del Libro di Torino e la Scuola Holden.

Claudia Durastanti

Il programma, piuttosto curioso, include il Premio Strega Melania Mazzucco e l’autrice franco-americana Lauren Elkin. Il medico di Lampedusa Pietro Bartolo, Lidia Tilotta e Clare Longrigg del Guardian; Iain Sinclair, presenterà il suo nuovo “The last London” e discuterà con Olivia Laing e il curatore della Tate Modern Andrea Lissoni; Christian Raimo e il politologo Jonathan Hopkin della London School of Economics, incalzati da Caterina Soffci, discuteranno di “Italian Politics for Dummies”; un dibattito su industria culturale, poi Sara Taylor e l’editor di Granta Ka Bradley.
Vi troverà spazio la letteratura italiana tradotta nel mercato anglosassone; Giancarlo De Cataldo parlerà di romanzo e serialità per celebrare il lancio mondiale su Netfix della serie “Suburra” e per finire Zerocalcare incontrerà per la prima volta il pubblico londinese.
Il programma completo lo trovate a questo link: www.fll.org.uk.
Per saperne di più abbiamo intervistato uno degli organizzatori, che guarda caso non poteva che essere torinese: Gianuca Didino.

Gianluca Didino

Come, e dove è nata l’idea del Festival, chiacchierando in un pub, per intuizione, per risposta alle vicende politiche?
Diciamo una confluenza di cose. Il progetto del FILL è nato da Marco Mancassola e Stefano Jossa come tentativo di catalizzare le energie intellettuali degli espatriati italiani Londra, in parte come prolungamento delle attività dell’Istituto di Cultura.
Ma certamente le vicende politiche, Brexit in testa, hanno giocato un ruolo fondamentale nel trasformare queste intenzioni in realtà. Dopo il referendum del 2016 come cittadini europei residenti a Londra ci è sembrato giusto fare qualcosa di concreto, scendere in qualche modo in campo e alimentare un dibattito.
Le persone con cui lavori le conoscevi già o ti hanno coinvolto e chiesto di partecipare..
Conoscevo bene alcuni di loro, come ad esempio Claudia Durastanti, con altri è capitato di scriverci nel corso degli anni, altri li conoscevo per via del loro lavoro ma non c’erano mai stati contatti diretti, altri ancora erano completi sconosciuti. Da questo punto di vista il FILL è già stato un successo, nel senso che ha messo in moto sinergie nuove, creato o reso più solida una rete di relazioni, esperienze e talenti. Personalmente sono rimasto molto colpito nel constatare il potenziale di questa rete. Già a questo stadio il FILL è stata una maniera di farci entrare in contatto in una città che per sua natura tende alla dispersione. Per questo sono certo che l’esperienza non si concluderà con il Festival.
La Brexit è davvero il cattivo fantasma inglese che si aggira fuori dall’Europa, come ogni giornale racconta, o le cose sono un po’ diverse ?
A un anno dal voto credo che sia evidente a tutti, anche a molti dei suoi fautori, che Brexit è stato un errore politico e una fonte di stress del tutto immotivata. E non mi riferisco soltanto a noi cittadini europei che ci troviamo in un limbo legislativo che durerà due anni e dopo il quale il futuro sembra quantomeno incerto, mi riferisco anche ai cittadini britannici indipendentemente dalle loro idee politiche e al futuro stesso del Regno Unito: nessuno ad oggi può sapere cosa sarà questo paese dopo il 2019, quali saranno le conseguenze sull’economia, sul welfare, sull’apparato legislativo ecc. Anzi, paradossalmente i cittadini europei con meno legami in UK, quelli che Brexit voleva colpire maggiormente (i lavoratori stagionali, gli immigrati dell’Est Europa eccetera) sono quelli che hanno meno da perdere, perché possono sempre tornarsene a casa. Come faceva giustamente notare qualcuno all’ultima lobby a cui ho partecipato, l’Europa con l’uscita della Gran Bretagna dall’UE perde un paese, ma un cittadino britannico ne perde ventotto. Considerato che la congiuntura politico-economica non è delle migliori a livello mondiale, Brexit rappresenta davvero un salto nel buio: è stata una scelta irrazionale, mossa da una bruttissima campagna di odio e paura e cavalcata da un bieco opportunismo politico. Quindi, per rispondere alla tua domanda: le cose sono sempre diverse da come le raccontano i giornali, e sempre molto più complesse, ma in sostanza sì, la Brexit è davvero un “cattivo fantasma” che minaccia il futuro di tutti.
Questo Festival potrebbe rappresentare una modalità culturale adottabile anche da altri paesi della vecchia Eu?
Certo, perché no. In questo mondo sempre più globalizzato le comunità nazionali all’interno dei vari paesi sono ampie e strutturate, ci sono centinaia di migliaia di italiani che vivono a Berlino o a Barcellona. Certamente ci auguriamo che altre realtà prendano spunto dal FILL per fare qualcosa di analogo nei loro Paesi. Se c’è una cosa che la nostra esperienza dimostra è che con la buona volontà e il talento si possono costruire eventi abbastanza strutturati, come il FILL appunto.
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Come avete trovato i fondi per organizzarlo, è stato particolarmente arduo o no?
Trovare fondi per eventi del genere non è mai facile, nemmeno per realtà più rodate della nostra. L’Istituto di Cultura, che è il co-organizzatore, ha letteralmente reso possibile il Festival, poi alcune micro-sponsorizzazioni e donazioni ci hanno aiutato. Di fatto, però, restiamo un festival indipendente e per questo finanziariamente siamo un’avventura abbastanza spericolata, nel senso che abbiamo un budget piccolo e tutti gli organizzatori lavorano su base volontaria. Ma visto che il progetto sta attirando un bel po’ di attenzione in futuro contiamo di rafforzarci anche su questo lato.
C’è un aspetto del programma di cui siete particolarmente orgogliosi ? 
Ce ne sono molti! Personalmente sono legato sia per i temi che per gli ospiti a The Last London?, il panel in cui Marco Mancassola farà dialogare Iain Sinclair, Olivia Laing e Andrea Lissoni della Tate, e sono molto curioso di assistere a Italian politics for dummies in cui Christian Raimo parla con Jonathan Hopkin e Caterina Soffici, quest’ultimo anche perché credo sia interessante mettere a confronto esperienze politiche come quella britannica e quella italiana, tanto diverse eppure per forza di cose sottilmente intrecciate. Poi ovviamente c’è Zerocalcare che incontra il pubblico londinese per la prima volta in assoluto, Melania Mazzucco, Hanif Kureishi… Insomma, penso di poter parlare a nome di tutto il comitato organizzatore quando dico che siamo assolutamente orgogliosi di essere riusciti a mettere insieme un programma così ricco e variegato e tanti ospiti meravigliosi.
Torino con il suo Salone è partner insieme alla Scuola Holden, quale tipo di collaborazione avete instaurato?
Innanzitutto da ex torinese devo dire che sono contento che questo legame esista e sia forte, ma al di là della biografia personale è chiaro come la partnership con soggetti prestigiosi e noti anche al di fuori dell’Italia come il Salone del Libro e la Scuola Holden sia un punto di forza per il FILL. Il Salone ci sta dando un grosso sostegno con la comunicazone, mentre la Scuola Holden, oltre a essere un media partner, ci ha fornito un buono per la partecipazione a due dei loro corsi online, che metteremo in palio durante una festa di finanziamento una settimana prima del festival. Anche questa è una dimostrazione come l’esperienza del FILL sia già riuscita a creare una rete solida di collaborazioni e legami.

Gli scrittori, la letteratura, trovano ancora spazio per farsi sentire e influenzare il pensiero comune?
Penso che lo trovino ancora e anzi, semmai, ne trovino oggi più che dieci o vent’anni fa: nell’ultimo decennio, in parte anche grazie alle community online, le nicchie di lettori fedeli e appassionati di letteratura si sono allargate invece che restringersi come si tende un po’ pessimisticamente a pensare. Certo noi “scrittori” (uso questa parola in senso allargato, intendendo chiunque faccia della parola scritta il proprio mezzo di espressione e il proprio lavoro) dobbiamo competere con i media elettronici, ma spesso questa competizione ci arricchisce invece che indebolirci. Anzi, proprio eventi come Brexit affermano in maniera molto perentoria la necessità di un’analisi approfondita dei fenomeni culturali e politici nei quali viviamo e di un dibattito, che poi è proprio ciò che il FILL si ripropone di fare.
Gli incontri verranno trasmessi in streaming, farete delle riprese, raccoglierete gli interventi per una pubblicazione?
Al momento non abbiamo in programma di trasmettere gli incontri in streaming, ci concentreremo su ciò che avviene al Coronet e sul pubblico presente. Prevediamo però una buona copertura giornalistica e radiofonica e sicuramente faremo un live tweet dagli incontri tramite il profilo @Fill_LitFest. Quanto a raccogliere gli interventi per una pubblicazione, ci abbiamo pensato e ci piacerebbe farlo dopo il festival. Sempre che non veniamo rapiti fin da subito dalle idee per la prossima edizione, visto che ne abbiamo già tantissime.

Marco Mancassola

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