Alla Fondazione Prada di Milano l’arte aerodinamica del torinese Gianni Piacentino.
La nuova sede della Fondazione Prada a Milano è uno spazio di 19mila metri quadri, ex complesso industriale, costruito all’inizio del Novecento per ospitare la distilleria della Società Italiana Spiriti, sapientemente recuperato dall’architetto Rem Koolhaas con lo studio OMA. L’approccio scelto da Koolhaas è stato quello di integrare i sette edifici industriali esistenti con tre volumi, di nuova costruzione, intitolati Podium, Cinema e Torre.
Spazi espositivi, uffici, un cinema, un archivio, una biblioteca, un negozio ed il Bar Luce, disegnato dal noto regista inglese Wes Anderson, ispiratosi ad un tipico caffè milanese degli anni ’50.
E’ dedicata a Gianni Piacentino, celebre artista torinese, la mostra antologica, a cura di Germano Celant, ospitata nel Podium: il percorso espositivo si articola su due livelli, ripercorrendo, secondo una visione antologica la produzione di Piacentino dalle creazioni più recenti agli esordi, accogliendo circa 90 opere e ricomponendo a ritroso la sua ricerca estetica dal 2015 al 1965. Eliche, veicoli, strutture essenziali, materiali cromati e meccanismi aerodinamici permettono al pubblico di cogliere un interesse dell’artista per la perfezione e la cura del dettaglio, in equilibrio dialettico tra arte e design, tra artigianato e prodotto industriale, tra unicità e serialità.

Gianni Piacentino

Alla ricerca di uno spazio d’azione tra Minimal Art e Pop Art, tendenze artistiche che si affermano a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, Piacentino trova una risposta autonoma nel mondo della velocità e dei mezzi di trasporto: l’automobile, la moto, l’aereo sono prodotti della cultura popolare che, pur non appartenendo all’arte pura, sono la testimonianza di un’estetica industriale che gli è vicina. In tale senso l’artista segue le fantasie aerodinamiche di alcuni artisti californiani dell’epoca: da Billy Al Bengston a Craig Kauffman, da John Mc Cracken a John Goode, i quali, ricorrendo all’uso di materiali industriali come resine, plexiglass e forme di carrozzeria, tendevano ad adeguare l’arte a un prodotto seriale, realizzabile attraverso sagome e stampi prefabbricati, in cui versare o tagliare le materie plastiche. Come spiega Germano Celant: “[…] Sin dal 1966 le sue sculture approdano a un risultato trascendente l’oggetto funzionale, sebbene quest’ultimo rimanga riconoscibile come possibile entità industriale e dalle caratteristiche decorative, perché derivate da una cultura intrisa di scienza applicata, di esperienza artigianale, di precisione meccanica e di processi strumentali di alta ingegneria”.

Ancora – “Piacentino, appassionato di motociclette e di sidecar, mette in discussione l’aderenza e l’interdipendenza tra la costruzione, condotta attraverso strumenti altamente tecnologici, e la componente simbolica dell’oggetto d’arte: in questo caso l’idea del veicolo come portatore di segni, che vanno dalla firma alla forma, dal colore al volume, dallo spazio interno alla tipologia dei dettagli, dalle ruote al telaio. Per questo motivo la sua ricerca si concentra su modelli sperimentali, spesso in serie ridotta, per testare tipologie e scale diverse nonché processi produttivi di altissima qualità. Dal 1969 la sua capacità di guardare al veicolo in modo anticonvenzionale e libero da qualsiasi pregiudizio storico-stilistico lo porta da un lato alla fondazione di un oggetto di nuova tradizione, perché attivo nel territorio della scultura con la sua presenza fisica e la proiezione fantastica, dall’altro alla differenziazione formale e cromatica di un oggetto industriale collegato al movimento”.

Al piano terra del Podium è presentata una selezione di lavori realizzati dal 2015 ai primi anni Settanta. Lo spazio, grazie ad un’efficace soluzione allestitiva, risulta suddiviso in 4 sale separate da tre pareti a tutta altezza che tagliano la superficie espositiva trasversalmente accompagnando ed esaltando l’idea di velocità e movimento che le opere di Piacentino trasmettono. Dai Seaplane Painting, in cui, con acrilico su tavola, l’elemento figurativo dell’idrovolante si staglia su campiture monocrome, alle semplici strutture metalliche dei Cantilever e Race, simili a cavalletti che nello studio dell’artista vengono utilizzati per disporre i suoi lavori, si evidenzia la passione di Piacentino per le capacità ingegneristiche e tecnologiche dei fratelli Wright.
Sono dipinti caratterizzati da campiture piatte di colore e da una composizione puramente decorativa costituita dall’immagine, dalla firma e dalla cornice. Ampio spazio è dato ai veicoli a terra degli anni Settanta e Ottanta che segnano una rottura rispetto alla produzione di Piacentino precedente al 1968. All’estetica della gravità e staticità che caratterizza i primi lavori si sostituisce quella della mobilità tipica di un oggetto che percorre una traiettoria nello spazio, trasformando così l’ambiente espositivo in un campo d’azione. Completano il percorso del piano terra i Combine Paintings che associano le tele con vari elementi di metallo verniciato disposti in posizioni rigorose: le barre che riportano le iniziali dell’artista GP trasformate in un logo industriale, le ali e le eliche che richiamano la simbologia dell’aviazione.
Al piano superiore, diviso in due ambienti longitudinali, le opere di Piacentino dal 1968 al 1965, anni che in parte corrispondono ad una sua iniziale partecipazione alle mostre dell’Arte Povera  – indimenticabile la mostra Arte abitabile del 1966 allestita nella galleria Sperone di Torino, in occasione della quale l’artista condivide con Piero Gilardi e Michelangelo Pistoletto l’idea di un’arte che entra concretamente nell’ambiente: egli realizza alcune strutture essenziali che evocano oggetti dell’universo quotidiano privati di peso e volume –  per poi distaccarsene e avviare un percorso autonomo. 
In questa seconda parte della mostra sono esposte tele e strutture in legno laccato, spesso riprodotte in forme simili ma rese differenti l’una dall’altra per l’utilizzo del colore, ottenuto attingendo ad un campionario personale di oltre trecento variazioni di tinta. Da una gradazione all’altra, la scelta cromatica connota l’opera e la rende un pezzo unico, insistendo sul suo valore ottico-percettivo e sull’ambiguità tra oggetto reale e immagine mentale.
Gianni Piacentino_Fondazione Prada, Milano_veduta d'installazione
Piacentino a Torino, città in cui vive e lavora, prende ispirazione da un lato dallo spirito aerodinamico e avanguardista del movimento futurista, così radicato in Italia, dall’altro fa propria la tradizione produttiva proposta dalla FIAT e dai designer Pininfarina e Bertone; studia all’università e lavora per una ditta produttrice di colori speciali e chimicamente molto avanzati per l’epoca, che gli permettono di trovare soluzioni cromatiche e materiche inedite, avvicinando le sue opere a risultati industriali. 
Dalle prime tele che hanno già una dimensione scultorea passa alla tridimensionalità dei pali, delle T capovolte e degli angolari, per approdare nel 1966 alla forma del tavolo che perde le sue caratteristiche funzionali attraverso la variazione delle sue abituali dimensioni e proporzioni: le opere realizzate in questi anni si configurano come archetipi, elementi apparentemente rispondenti alle esigenze del vivere quotidiano che creano, invece, una nuova realtà estetica.
Come spiega Piacentino, “mi piace studiare oggetti comuni e negarne la funzione per tramutarli in entità lineari e di superficie destinate solo ad essere osservate”.
La mostra è accompagnata da una pubblicazione a cura di Germano Celant edita dalla Fondazione Prada. 
Fondazione Prada, Milano
domenica – giovedì h. 11 – 19 venerdì e sabato h. 11 – 22
chiusura il martedì

 

This includes nitroglycerin, isosorbide dinitrate, Eu Pharmacie de France, as the magazine put it, given that Pfizer scientists discovered the drug.