Può capitare di lasciarsi catturare e perfino commuovere dal destino di individui che hanno vissuto in altre epoche, persone dai nomi strani e dalle occupazioni ancora più assurde, le cui azioni non hanno alcuna conseguenza diretta sulla nostra vita. Come egualmente possiamo rimanere seduti, quasi immobili, in un teatro buio per un tempo relativamente lungo o lunghissimo, senza sentire il bisogno di una pausa perché concentrati e avvinti dalle vicende di uno sparuto gruppo di comici, dove il protagonista sospetta che la giovane moglie gli sia infedele e che tutta la vicenda divenga qualcosa di più di un mero fatto di cronaca nera.
Questo è quello che accade in questi giorni al Teatro Regio di Torino dove l’opera Pagliacci di Ruggero Leoncavallo sta ottenendo un notevole successo. Dirige il maestro Nicola Luisotti, lo abbiamo incontrato in camerino nella pausa tra le prove.

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Nicola Luisotti Prima de Pagliacci

Nicola Luisotti è entusiasta del suo mestiere, ma come ogni medaglia ha due lati, mette in luce alcuni aspetti negativi che riguardano l’impossibilità di poter essere vicino alle persone a cui si è legati a causa dei viaggi continui, della solitudine non solo esecutiva, di quanto si è sempre molto esposti e sotto giudizio, un mestiere dove non si può fingere. Confida che la sua grande fortuna è di avere una moglie che lo segue e che gli è vicina da trentaquattro anni. Si occupa delle incombenze pratiche e burocratiche, e soprattutto dei bagagli. Così dice, io posso dedicarmi solo alla musica, ma condividono la passione del cinema e dei libri e fortunatamente lei non è una musicista.
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Quando gli si chiede della differenza tra il mondo americano e quello italiano, vista la notevole esperienza maturata fuori dall’Italia, il maestro premette come il modello di gestione e finanziamento dei teatri americano sia radicalmente diverso.
Una delle cose che colpisce maggiormente è il fatto che vi siano esigui finanziamenti statali ma grosse sponsorizzazioni private anche da singoli cittadini. Il nostro teatro, il San Francisco Opera, riceve un budget intorno agli 80, 90 milioni di dollari all’anno, soldi messi in un fondo che produce ricchezza, grande donor del teatro è la signora Dolby, la moglie del grande Ray Milton Dolby, l’uomo che ci ha regalato l’alta fedeltà, lei sola ultimamente ha destinato 50 milioni. 
Sottolinea come il privato cittadino che decide per una donazione scarica il 40% e non di più, questo per fugare fantasie sugli scenari economici americani. E’ un paese generoso, la classe dirigente, che non è di tipo politico, dona, e desidera che si faccia fruttare il denaro al meglio. Si ha l’impressione che si faccia davvero qualcosa per le generazioni a venire. Ho riscontrato che in America si addolorano molto quando sentono dei nostri tagli alla cultura, non hanno preconcetti e invidiano il nostro patrimonio di tradizione.
Tornando all’Italia, come si è trovato al Regio e a Torino.
Ho trovato accoglienza, e mi sembra di aver stabilito un buon rapporto con il coro, le maestranze,i tecnici e l’orchestra. Inoltre Torino è davvero elegante e non troppo affollata, permette di viverla con piacere.
Dicono che non apprezzi la “buca” dell’orchestra. E’ così ?
Le buche molto d’orchestra molto profonde producono muri di suono. A San Francisco l’ho fatta alzare a seguito delle lettere di lamentele del pubblico, la voce dei cantanti veniva coperta dall’orchestra. Per ovviare a questo problema ho chiesto di intervenire sulla buca cambiandone i materiali posti ai lati e alzandola di quaranta centimetri. Per esprimere meglio il concetto il maestro traccia su un foglio una storia della disposizione delle orchestre e dei cantanti dal golfo mistico di Wagner a Verdi alla buca semivocale di Toscanini fino al teatro di Vienna dove oggi l’orchestra suona fuori dalla buca.

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Schizzo del maestro

L’orchestra è un potenziale di emozione, va ascoltata nel miglior modo possibile, in Italia spesso l’acustica non permette ai cantanti di passare l’orchestra. Da qui si arriva a parlare di chi in sala ascolta, e la capacità del pubblico è notevolmente migliorata, questo grazie ai dischi, alle incisione alle scuole. Anche se, sostiene Luisotti, ai tempi di Gustav Mahler e Puccini le persone che assistevano ai concerti in genere sapevano suonare.
E Citando Mahler arriviamo al concerto che dirigerà: la prima sinfonia in re maggiore, conosciuta anche come Il Titano.
Pur non essendo tra le più eseguite del repertorio malheriano, possiede, per il direttore, una vicenda senza parole di un cuore segnato da una tormenta emotiva per le passioni d’amore senza speranza, come scrisse Bruno Walter “siamo condotti in un inferno che non ha forse eguali nella letteratura sinfonica”. Sviluppata nell’arco di circa 18 anni contiene molti dei tipici temi del grande compositore e direttore boemo e merita di essere ascoltata con la massima attenzione.

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