Licia Mattioli, titolare della omonima azienda, ambasciatrice con il suo marchio del gusto italiano del gioiello contemporaneo nel mondo, è energia allo stato puro: creativa, estremamente femminile, concreta, determinata. Di lei colpiscono, dosate in raro equilibrio, l’entusiasmo “puro” di chi non ha timore di parlare di “sogni” e una grinta imprenditoriale insolita, propria di chi possiede una visione chiara, che traduce in parole scelte, rapide. Una visione che l’ha portata, nel corso degli ultimi vent’anni, a percorrere un cammino professionale sempre in ascesa, non solo coronato da successi in ambito economico confortati da fatturato e posti di lavoro, ma da personali prese di posizione (e di responsabilità) nel contesto socio – economico del Paese: ha infatti ricoperto, prima donna, ruoli chiave come quello di Presidente dell’Unione Industriale di Torino, concluso nel 2016, e di Federorafi, l’associazione che riunisce le imprese italiane del settore.

Licia Mattioli

Licia Mattioli

Oggi è Vicepresidente di  Confindustria con delega per l’internazionalizzazione e attrazione investimenti esteri di Confindustria, vicepresidente della Compagnia di San Paolo e nel giugno 2017 è stata nominata Cavaliere del Lavoro dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

La incontriamo nella sede dell’azienda, nei giorni in cui Torino è capitale della General Assembly di World Design Organization (WDO)™, dopo più di trent’anni dall’ultimo convegno in Italia. In occasione della conferenza stampa per la presentazione della Torino Design week, in rappresentanza della Compagnia di San Paolo che ha in parte sostenuto economicamente l’evento, ha affermato che creatività deve far rima con produzione (di nuovo il sogno e la sua concreta realizzazione) ma ha anche ribadito l’importanza di potenziare un sistema pubblico di formazione dei giovani e il ruolo essenziale di relazioni permanenti tra politiche pubbliche e private.

Cito le sue parole, “l’imprenditore è un eroe coraggioso”. Ci racconta la storia del marchio Mattioli e dei momenti che come imprenditrice di successo ha dovuto affrontare con “coraggio”?

Il mio percorso imprenditoriale è nato quasi per caso, sulla base però di qualche segno del destino precedente che bisognerebbe poter rileggere alla luce del cammino fatto: già da piccola fabbricavo i gioielli con le perline di Murano e  mi sarebbe piaciuto lavorare in un’azienda; questo è un Paese tuttavia dove non ti raccontano cosa voglia dire concretamente il lavoro in fabbrica nelle sue diverse accezioni, e qui si potrebbe aprire  il tema dell’orientamento al lavoro ai giovani: un tema fondamentale, perché significa valorizzare i talenti degli studenti dando  valore aggiunto alla società. La scelta sbagliata crea persone infelici ma danneggia anche gli altri. Dopo la maturità ho scelto di studiare legge anche per seguire le orme materne, (mia madre è un notaio), ma decido comunque di fare uno stage in un’azienda in cui, e dico purtroppo, mi tengono tre mesi a fare fotocopie, cosa che è lontanissima dalla mia idea di stage e che inevitabilmente mi riporta alla mia laurea in legge. Nel frattempo mio padre, dirigente di una multinazionale, rileva un’azienda di gioielli, l’Antica Ditta Marchisio, uno dei più antichi laboratori orafi artigianale di Torino, titolare del primo punzone rilasciato dalla città, “1 TO”, e ancora prima di concludere il suo precedente percorso professionale mi coinvolge in modo attivo, quasi a sua sostituzione in attesa di entrare fattivamente in azienda. Passo lunghi periodi, senza lasciare gli studi per il concorso notarile, sia in reparto per capire i processi di fabbricazione che in archivio per consultare gli archivi dei disegni. È in questo momento che capisco che è questa la mia passione, quello che voglio fare.

Mattioli

Un atto di coraggio. Il primo.

Non solo il coraggio di doverlo dire ma soprattutto quello di dover lasciare anche il percorso professionale per il quale avevo studiato. Passo comunque l’esame da avvocato come dimostrazione, in primis a me stessa, che la mia scelta di lasciare la giurisprudenza non era una soluzione di ripiego ma una decisione ponderata. Mi affianco all’amministratore delegato dell’azienda, socio di mio padre, che mi insegna moltissimo e che mi chiede di diventare a mia volta amministratore delegato, e questo prima che mio padre entri in azienda. Questo è stato un punto nodale, perché il conferimento di questo incarico, impartito da terzi, mi affranca completamente dalla famiglia e mi conferma nella mia scelta. Mio padre arriva in azienda e come manager di una multinazionale introduce processi industriali in un contesto artigianale. Ad esempio applica le “5 S”, metodo per l’ottimizzazione degli standard di lavoro che veniva applicato con molto successo già nella industrie giapponesi e che si dimostra da subito di grande efficacia. Coraggiosamente decidiamo di rimanere in Italia mentre tutti scelgono di andare all’estero, e tra il 2000, anno in cui rileviamo tutta l’azienda, e il 2013, in cui cediamo l’azienda al gruppo Richemont, passiamo da 25 a 250 unità.

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Oggi, ripartiti in venti come spin off dalla Antica Ditta Marchisio ceduta a Richemont  siamo già 150 unità, con una fabbrica qui a Torino e un’altra a Valenza, di cui abbiamo la maggioranza. Abbiamo due anime, due assi produttivi: la produzione per grandi marchi e la produzione del marchio Mattioli. Quest’ultimo nasce in un secondo momento: all’inizio avevamo lo storico marchio MaxArt, molto forte in Italia negli anni ’90 ma in decrescita nel decennio successivo, anche a causa di una forte compresenza concorrenziale di altri marchi sul territorio italiano. A quel punto decidiamo di esportate MaxArt in America dove viene accolto con entusiasmo come simbolo di made in Italy, in particolare presso un department store: Sacks. La buyer però chiede il significato letterale del marchio e propone d’istinto di chiamarlo Mattioli, definendolo “so italian”. E da lì è nata il marchio che porta il nostro nome.

Parliamo del gioiello Mattioli. Come è nato il vostro simbolo iconico puzzle, “tessera” preziosa, proposta come elemento interscambiabile, in diversi colori, materiali?

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E’ ispirata ai mobile di Calder, per questa forma a trapezio che caratterizza molte delle sue sculture mobili. In gioielleria, quando l’abbiamo proposta, era una forma assolutamente imprevedibile, se vogliamo difficile: una forma irregolare e geometrica, anche se dai contorni morbidi, leggera, proposta in un contesto di rigorosi modelli in forme classicche o i cuori o fiori…Mondrian è stato fonte di ispirazione per i colori, tonalità molto forti, proposti in un momento in cui i colori i gioielleria non usavano. Per non parlare della madreperla: subito vista come una diminutio, una introduzione di un materiale da bottoni, come un gioielliere mi disse, piuttosto che da gioielli. Una visione innovativa che subito non è stata capita, ma che noi abbiamo portato avanti.  Oggi la madreperla è largamente usata da tutti i marchi.

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Qui torna il tema del coraggio in tutte le scelte.

Un cosa che dico sempre quando vado a parlare agli studenti è l’invito a non mollare, a credere in quello che si fa. Questo è quello che accomuna tutti gli imprenditori di successo, non smettono mai di sognare e di credere in quello che fanno: quando si vende un gioiello, ad esempio, si trasmette tutto un mondo, un vissuto, un modo di essere e non solo un prodotto. Certo, richiede molta energia, vuol dire combattere tutti i giorni, spesso sei tu da solo con i tuoi sogni, anche se poi è fondamentale circondarsi di collaboratori che come te remano nella stessa direzione, e che sono centrali per un’azienda di successo.

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La sua idea di gioiello.

Noi puntiamo ad un gioiello pensato per la donna di oggi, un accessorio prezioso, con un valore intrinseco dato dal materiale, che è bello possedere, anche tramandare; un gioiello dal forte carattere, e al tempo stesso versatile, interscambiabile, adatto ad una persona che viaggia, che vive il proprio tempo in modo dinamico. Mi piace ricordare che dietro ai modelli c’è sempre una narrazione: la collana Chiacchiere, ad esempio, emette un suono perché composta da elementi cavi e quindi sonori, e ricorda la collana in uso presso le balie napoletane del Settecento, che in questo modo intrattenevano i bambini. Una bella storia rivisitata, oggetti belli da portare, con l’anima.

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