Torino Domani

GazzettaTorino, ha deciso di raccogliere opinioni, pareri, punti di vista, sul futuro della città, rivolgendo sei domande, sempre le stesse, a persone impegnate a diverso titolo nella società, nella politica e nella cultura, su un tema rilevante del dibattito pubblico, a nostro avviso trascurato: la Torino di domani.
La città appare in questo momento, come si suol dire “sotto lo zelo di Abramo”, ossia pronta ad essere sacrificata senza sapere bene per chi o per che cosa. E noi, come Isacco, vorremmo che alla fine si salvasse.
Massimo Guerrini è il Presidente delle Circoscrizione 1 della città di Torino, lo ringraziamo per la partecipazione a Torino Domani.

Torino Domani

Massimo Guerrini

Dopo un viaggio all’estero, al rientro la città e talvolta l’Italia tutta appare più piccola, bloccata, come fosse imprigionata dentro ad un incantesimo cattivo. Prova anche lei questa sensazione, e se la risposta è si da cosa reputa sia dettato questo sentimento.
Purtroppo questa situazione non sono soltanto io a provarla, anche la mia famiglia, miei amici che per motivi lavorativi  o di svago viaggiano all’estero, mi dicono la stessa cosa, viaggiando per motivi di lavoro, peraltro  ti accorgi spesso di cose che magari sfuggono ad un turista di passaggio.
Innanzitutto rispondo che non è una solo una sensazione, è qualcosa di più grande ed oggettivo, qualcosa di  tangibile; mancano le infrastrutture, quando arrivi a Madrid in aereo prendi la metro e sei in centro città, qui purtroppo una cosa del genere non la trovi  neanche a Milano, che è la città più internazionale dell’intero Paese…per non parlare del wi fi gratuito ed illimitato nell’aeroporto , nelle caffetterie nei musei, a Lisbona ad esempio è tutto così , qui in Italia è ancora un utopia, ci sono delle città dove non c’è ancora la fibra…e poi  ciò che trovo all’estero e mi piace è il senso civico per la cosa pubblica , invece da noi purtroppo manca,  c’è ancora  troppo individualismo che si traduce in mancanza di rispetto per il giardino pubblico o il marciapiede che si può sporcare con le cartacce, con le cicche, con le deiezioni canine… questo non va bene ma è un problema culturale, all’estero se sporchi con la cartaccia non ti multa il vigile, ti rimprovera il passante. Ciò che ci salva è il nostro made in Italy, che tutto il mondo ci invidia e ci copia, la ns eccellenza nel manifatturiero nell’ enogastronomia ect se alla Casa Bianca assumono cuochi italiani e i Vip vogliono sarti italiani significa che anche gli altri paesi ci riconoscono questo merito..
Il dibattito sul futuro di Torino, su cosa voglia divenire, cosa ambisca a rappresentare, quale tipo di identità desideri per se ed i suoi abitanti sembra inabissarsi e virare ad un pensiero che verte solo sui conti, sui debiti, sulle spese; una grande liquidazione dei progetti e dei sogni. Come siamo arrivati a questo?
Il Rapporto Rota  2018, si intitola “Uscire dal labirinto: mi pare il titolo parli da solo. Il rapporto  ha evidenziato l’insistere della crisi economica sulla nostra Città e lo si vede  nella mancanza di lavoro da parte dei giovani e nella scarsa crescita in generale. Eppure la nostra città a livello produttivo ha delle grandi potenzialità , abbiamo il Politecnico che è un’eccellenza a livello nazionale ,  abbiamo  imprese innovative nell’erogazione di servizi, tuttavia ciò che manca è da parte degli amministratori cittadini locali  una visione del futuro condivisa e precise linee di azione per contrastare il declino e rilanciare lo sviluppo.  A livello locale la nostra città ha dimostrato in questi ultimi 20 anni una grande capacità di rinnovarsi, di reinventarsi, di creare cose il Salone dell’Auto, la radio, la televisione, il cinema, la moda , ma pure le case editrici sono nate sotto la Mole, Utet , Einaudi, Paravia … e poi ancora il Salone del libro, quello del Gusto . Torino nell’immaginario collettivo era vista soltanto come la città della Fiat, ma siamo riusciti toglierci di dosso questa immagine della città industriale, anche grazie alle olimpiadi del 2006 , è alle amministrazioni locali precedenti, la nostra città ha cambiato la sua immagine , gli altri ci vedono diversamente, e dovremmo cercare di puntare su questo sviluppo, sulla nostra capacità di rinnovarci, di diventare sempre più internazionali, ma c’è molto lavoro da fare.
Cosa sarebbe opportuno fare per ripristinare fiducia, grinta, carattere, alla città ? Trovare un modello da seguire, che so Amsterdam o Londra, per dinamismo e opportunità, o dobbiamo individuare e inventarci un’altra strada ?
Occorre  una nuova fase di rapporti fra le istituzioni pubbliche e il mondo produttivo, basata su una mutualità di interessi sociali, per condividere i progetti e l’ organizzazione delle politiche di sviluppo, perché non basta fare tavole rotonde, bisogna lavorare assieme con obiettivi comuni.
Per la Storia e la realtà di Torino è sicuramente decisivo il permanere di un ruolo importante del settore produttivo e manifatturiero ma è altrettanto fondamentale sviluppare il settore terziario  che renda la nostra Città sempre più internazionale, attraverso  lo sviluppo del  Turismo, della Cultura, l’enogastronomia. Torino è stata la Città italiana che ha raddoppiato il nel settore turistico negli ultimi anni, questo grazie  alle politiche delle amministrazioni locali precedenti che hanno saputo essere lungimiranti, ed hanno investito molto rischiando,  e a mio avviso hanno avuto ragione, bisogna continuare su quella strada. A mio avviso non si tratta di copiare dagli altri Amsterdam e Londra hanno altre realtà territoriali culturali e produttive, noi dobbiamo sviluppare le nostre, è questa la sfida cercare di migliorare tutto ciò che è il nostro patrimonio culturale, urbanistico, territoriale, professionale, produttivo e umano e promuoverlo farlo conoscere a tutti.
La politica possiede ancora la capacità di coinvolgere e costruire un’appartenenza, ha perduto la pietra focaia che accende passioni o, semplicemente ha smesso di usarla? 
Purtroppo la politica ha perso questa capacità, deve maggiormente tornare alle proprie origini di servizio alla comunità ed essere  un “agire disinteressato per il bene della collettività” , i politici devono  essere in grado non solo di fare il bene della collettività  ascoltando i bisogni della comunità ma anche di motivare i cambiamenti sociali, per questo servono capacità, competenze specifiche, lo so che nell’immaginario collettivo la politica non è un “arte o scienza di governo”, come la chimica , la medicina tradizionale,  ma ciò che sta accadendo in questi giorni invece ci insegna che è sbagliato pensare che chiunque possa fare l’assessore, il sindaco , il presidente della regione, il ministro, serve  esperienza, studio, competenza, e tantissimo lavoro, non sono ruoli per tutti , sopratutto non sono lavori che si improvvisano dall’oggi al domani ,  se  teniamo al nostro Paese dobbiamo scegliere bene i nostri rappresentanti.
E l’attuale spinta populista non sta certo facendo bene al paese in questo senso: non c’è meritocrazia e competenza, ma solo un senso di irrequietezza alimentato da rancore e invidia sociale.
A cosa attribuisce il fatto e la responsabilità di non vedere e sottostimare le cose meritevoli e buone del nostro paese? 
Tutti sono favorevoli alla meritocrazia, io aggiungo si è vero ma solo a parole,  a chiunque si faccia questa domanda infatti tutti vogliono un paese equo, fatto di uguaglianza delle opportunità, riconoscimento del talento, valorizzazione del merito. Ma la meritocrazia ha anche un costo sociale, vuol dire garantire il diritto allo studio a tutti, anche a chi non può pagarsi la retta scolastica,  diritto alla salute e via dicendo , tutti costi che si riversano sulla nostra società , sono tutti disposti a pagarlo?
Ma , scusate il  gioco di parole ,  la “MERITOCRAZIA VA ANCHE MERITATA”. Invece è sempre più diffuso un senso  di appiattimento di valori , di uguali diritti ma pochi parlano  di impegno , sacrificio, studio, lavoro duro, competenza. Il merito vuole anche dire che ogni giorno occorre dimostrare quanto valiamo in un mondo in cui qualcuno può essere più bravo o più veloce o di noi  ed è giusto che vada più lontano o arrivi prima.
Nel nostro Paese la meritocrazia esiste, certamente, ma solo in alcuni settori,  quelli privati e fortemente competitivi , che però si  scontrano con un mercato globale che ha molti vantaggi ma dove però la concorrenza in certi casi è  sleale, perché la globalizzazione, la delocalizzazione della produzione hanno generato un problema nel sistema produttivo in cui è difficile competere con i colossi che spesso non rispettano le regole burocratiche e fiscali, che invece  deve rispettare un  piccolo –medio imprenditore locale.
Pensiamo ai colossi internet e all’e-commerce. A parole  tutti vogliono la meritocrazia, ma se compro un capo italiano on line prodotto in Cina, non sto premiando l’artigianato italiano d’eccellenza ,  sto pagando meno  un prodotto che in termini di qualità ha perso moltissimo, ma la maggior parte della gente non se ne accorgerà, perché ciò che conta è averlo pagato di meno.
Vede un grande filosofo Jhon Stuart Mill diceva che  il mondo tende, in generale, a fare della mediocrità la potenza dominante dell’umanità, e purtroppo aveva ragione, perché il popolo  non è infallibile; le sue verità non sono, per la maggior parte, se non delle mezze verità; l’unanimità delle opinioni non è sempre desiderabile, a meno che essa non risulti da un confronto libero  e scaturisca da conclusioni e riflessioni fatte da opinioni contrarie; la diversità di opinioni non è un male ma un bene. Non è solo utile,  è indispensabile poiché l’uomo è imperfetto, diventa importante che vi siano diverse opinioni. E’ questa la vera essenza della  democrazia, quella che va tutelata, come una razza protetta.
C’è un libro, un film, o uno spettacolo teatrale, che a suo dire rappresenti al meglio il nostro tempo e prefiguri un indizio interessante per il domani ?
Tra i libri  me ne vengono in mente molti, ma in particolare  tra i saggi sicuramente la modernità liquida del sociologo polacco Zigmunt Bauman scomparso l’anno scorso.
Semplice nel linguaggio e complesso nel concetto da comprendere, con la fine delle grandi narrazioni del secolo scorso abbiamo attraversato una fase che quelle certezze del passato in ogni ambito, dal welfare alla politica, le ha smontate e in qualche modo dissacrate mescolandole a pulsioni nichilistiche. Il risultato, che iniziamo a intravedere sull’onda lunga di quel periodo, è appunto un presente senza nome caratterizzato da diversi elementi: la crisi dello Stato di fronte alle spinte della globalizzazione, quella conseguente delle ideologie e dei partiti, la lontananza del singolo da una comunità che lo rassicuri…

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