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Si sa, sono animali strani, i torinesi. Sempre pronti a minimizzare i propri meriti e a rimpiangere ciò che è stato loro sottratto dai lesti vicini milanesi, sempre troppo più abili a vantarsi e a ostentare. La storia è ormai nota e non sto a dilungarmi in dettagli. Quello che i torinesi si ostinano a non considerare, è che al di fuori della cinta daziaria urbana nessuno è interessato a questo rugginoso e strisciante “derby” meneghino-taurinense. A ben considerare, forse non se ne curano nemmeno i milanesi.
Basta allentarsi di poche centinaia di chilometri dalla autocompiangentesi patria subalpina per scoprire che ci sono persone che conoscono Torino e la apprezzano come il paese delle meraviglie.
Non sto nemmeno a calcolare quanti, perché sono davvero tanti, quelli che conoscono Torino per la Juventus e la FIAT: senza calcolare gli europei, ne ho trovati dal Sudamernica all’Africa. Un barcaiolo di Zanzibar, ad esempio, nel farmi notare certi pesci dalle squame striate bianche e nere che io avevo chiamato “pesce zebra”, mi ha corretto e ha detto “pesce juventus!”.
In giro per il mondo ho trovato anche persone che hanno immediatamente associato Torino con i giochi olimpici invernali. “Ah davvero, sapete dei giochi di Torino?” ho risposto a certi tedeschi. Costoro mi hanno guardata con un sorrisetto sghembo come dire: “Ma sei scema? È ovvio, li hanno seguiti in tutto il mondo!”. Io, che nel 2006 ho fatto persino la volontaria, non ho avuto il coraggio di dire che invece in Italia i media ne hanno parlato davvero pochino.
E la Sindone? Anche il controverso lenzuolo rende Torino famosa nel mondo e noi non lo sappiamo. Sì, mi è capitato a Manhattan, dove giravo con il mio zainetto con su scritto “World Master Games Torino 2013”, pensando di passare inosservata. E invece ecco che in uno Starbucks una signora mi ha detto “Ah Turin: the schroud!”. Ohibò, ho pensato io, che cosa vorrà da me questa tizia con il suo “schroud”?  Ma mi è bastato un attimo e il sorriso pacifico dell’interlocutrice per capire a che cosa si riferisse: “Ah, conosce la Sindone di Torino?” – “Ovviamente – mi ha risposto – e sono stata a Torino per l’ostensione del 2000”.
Detto per inciso, lo zainetto dei World Master Games me lo sono “sudato” concorrendo tra le corsie della piscina dello stadio del nuoto di via Filadelfia, poco conosciuta in città ma che atleti di mezzo mondo hanno detto che era bellissima. Anche queste “Olimpiadi degli anziani”, sono state un successo strepitoso per Torino, con decine di migliaia di partecipanti che se la sono goduta con le loro famiglie in un agosto particolarmente piacevole. Che sia stato il più bell’evento dopo il 2006, lo hanno riconosciuto tutti ma solo dopo, all’ultimo momento, saltando, come si suol dire, sul carro dei vincitori. Prima, erano stati pochi tenaci a crederci. Tutti gli altri, se non hanno boicottato, hanno taciuto. Stesso atteggiamento di insipienza che ha fatto perdere a Torino per il 2015 l’occasione di ospitare i World Master Games invernali. Una miopia istituzionale tutta nostra che chissà quante altre occasioni ci ha fatto perdere: e dunque non prendiamocela con Milano
Mi è capitato quest’estate, in viaggio per la Francia, di incontrare un attempato signore parigino che, chiacchierando di rispettivi hobby e passioni, ha aperto il viso e illuminato gli occhi quando ha scoperto che io ero di Torino. “Meravigliosa città! – ha esclamato il parigino – e adoro il vostro Maò”. Io ho avuto un attimo di perplessità ma poi ho capito che si riferiva al Mào, il Museo di Arti Orientali, e allora mi sono affrettata a dire sì sì che lo conoscevo e che sì, l’avevo visitato. Ma sempre meno di lui che, in trasferta a Torino almeno una volta all’anno per lavoro, non ha mai mancato di andare a ammirare la raccolta che ha definito letteralmente  “la più interessante d’Europa”: Avrà esagerato, ho subito pensato io, ma poi mi sono ricordata che gli stranieri non sono mica come noi, falsi e cortesi, e che se devono dirti una cosa te la dicono, bella o brutta che sia, senza smancerie né complimenti. E questo episodio lo voglio proprio raccontare perché noi torinesi, il Mao, rischiamo di chiuderlo per scarso interesse.
E mentre qui si discute su chi resta e chi va, il Times recensisce con il massimo dei voti il “Gugliemo Tell” di coro e orchestra del Teatro Regio di Torino, diretti da Andrea Noseda, in trasferta al prestigioso festival di Edimburgo: “Uno sfolgorante trionfo”. Ammetto: nel leggere mi ha percorso un muto brivido di irrefrenabile orgoglio.
Paola Assom

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