La Pandemia di Sars Covid 19 ha messo drammaticamente a nudo la scarsa preparazione del nostro sistema sanitario a fare fronte ad un’emergenza pandemica.

Sono entrate in crisi le strutture di ricovero, le RSA, gli ambulatori territoriali. La Sanità si è quasi paralizzata per 2 anni creando morti, liste di attesa infinite ancora oggi da smaltire in molte Regioni italiane. Interventi chirurgici, fatta eccezione per le urgenze, sono stati procastinati, ad esempio una sostituzione protesica di una articolazione. Si è registrata una grave mancanza dei mezzi di prevenzione primaria (gel-mascherine-guanti-camici mono uso-visiere) e molte vaccinazioni sono state effettuate in locali non idonei, come molti ambulatori dei medici di base, senza alcuna forma di assistenza infermieristica e di materiale base oltre che di primo soccorso, e si sa il vaccino a volte può dare delle reazioni acute ed indesiderate.

Esaurite le risorse messe a disposizione dal Pnrr serviranno oltre 1,2 mld per far funzionare l’assistenza domiciliare, che oggi è ridotta ad un lumicino, e si dovranno reperire 239 milioni per il personale degli Ospedali di Comunità una volta realizzati. Questo è, in sintesi, quanto sottolinea l’Ufficio Parlamentare di Bilancio nel Focus n.2/2023:  “L’assistenza sanitaria territoriale: una sfida per il Ssn La componente del Pnrr dedicata alla sanità territoriale, prevede

Sette miliardi di investimenti e 500 milioni del Fondo complementare (FoC). Il Piano prevede un importante tentativo di riorganizzare l’assistenza sanitaria non ospedaliera , passaggio cruciale per riqualificare il Ssn e di riordinare il sistema di prevenzione. Negli ultimi anni lo spostamento delle cure dal livello ospedaliero a quello territoriale ha rappresentato una delle politiche più diffuse nei paesi europei per migliorare i servizi sanitari. In Italia, però, il ridimensionamento della capacità degli ospedali – peraltro già bassa rispetto ad altri paesi (il numero di posti letto per 1.000 abitanti è passato da 4 nel 2005 a 3,2 nel 2019, mentre la media europea è scesa da 6,1 a 5,3) – non è stato accompagnato da un adeguato rafforzamento della sanità territoriale, con carenze più evidenti in alcune Regioni”.

Piccola parentesi: Un dato interessante anche se parziale è il costo di un posto letto in una struttura pubblica italiana che è stimato dall’OCSE intorno ai 260.000 euro all’anno,a prescindere da interventi chirurgici e delle relative terapie, il che fa una media di 762 € al giorno, ma in alcuni casi non rari anche di 1.000 euro al di.

Malgrado la nuova struttura dei servizi territoriali fosse stata immaginata già da tempo nelle sue linee fondamentali e nonostante siano state realizzate diverse esperienze rilevanti in alcune Regioni, raramente le Case della salute o le associazione tra i medici di base sono divenute effettivi punti di riferimento per i cittadini, con disponibilità di servizi in ampie fasce orarie. Molte Regioni, soprattutto nel Mezzogiorno, non dispongono di strutture intermedie per degenze a bassa intensità clinica. Questo implica, tra l’altro, che gli ospedali vengono spesso sovraccaricati dalla richiesta di interventi che potrebbero essere svolti altrove, in strutture più snelle e con costi nettamente inferiori.

Quando le risorse del Pnrr saranno esaurite, si dovrà rinvenire nei finanziamenti al Ssn più di un miliardo per dare continuità ai servizi di assistenza domiciliare e quando gli Ospedali di Comunità saranno disponibili si dovranno reperire 239 milioni per il relativo personale. In Italia, un dato, mancano 250.000 infermieri.

Alcuni aspetti importanti della riforma sono ancora in fase di definizione, quali ad esempio il meccanismo di integrazione con i servizi sociali gestiti dagli ambiti territoriali sociali (ATS), il cui personale dovrà essere presente nelle Case della Comunità, e tra il Sistema nazionale prevenzione salute dai rischi ambientali e climatici, istituito con il DL 36/2022, e il Sistema di protezione dell’ambiente.

C’è dunque il fondato rischio che la sanità salterà con la legge di Bilancio varata dal governo Meloni. Dunque il richiedere i 37 miliardi previsti dal Mes Pandemic crisis support per salvare il Servizio Sanitario Nazionale e dare immediatamente un segnale forte al settore, sembrava una scelta obbligata.

Si tratta certamente di ulteriore debito, da contrarre, tra l’altro, in un momento di crisi bellica, energetica, climatica ed economica. Il tasso di interesse è vicino allo 0 (0,35% il primo anno e 0,15% per gli anni successivi), con una durata massima del prestito di 10 anni e una disponibilità quasi immediata. Saranno tre le aree per cui si potrebbero utilizzare i miliardi del MES. La prima è quella che riguarda i costi sanitari, di cura e di prevenzione direttamente correlati alla pandemia di Covid-19. La seconda riguarda le spese indirette come quella per ospedali, cure ambulatoriali e cure riabilitative, diagnostica, farmaci, prevenzione, amministrazione sanitaria e long term care. Nella terza casella vanno indicati tutti gli altri costi indiretti relativi all’assistenza sanitaria, alla cura e alla prevenzione dovuti alla crisi di Covid-19.

Se il Governo crede nella sanità pubblica, intende investirvi e salvarla, segnando una vera discontinuità rispetto alle precedenti amministrazioni, dovrebbe mostrare coraggio e tornare a pensare di richiedere il Mes.Nel mentre andrà stabilito un diverso ruolo di collaborazione tra Sanità Pubblica e Privata Convenzionata. 

Giorgio Diaferia

medico chirurgo