Che qualcosa non abbia dato il risultato sperato oltre all’astensionismo di cui si prevedeva l’impatto, è il grande investimento emotivo e di richiamo alla partecipazione, sperato dai candidati che si sono affidati ai social investendoci tempo e denari. Facendosi consigliare da una nuova stirpe di santoni che possiedono il segreto del sacro “seo” o il bastone ricurvo per accedere a quei vangeli aprocrifi detti profilazioni degli utenti.

La scoperta del day after votazioni constata, parimenti per tutti i candidati, una rivelazione quasi blasfema: i like non si trasformano in voti. Nemmeno i commenti o gli incoraggiamenti scritti.

Nasce il sospetto che il nostro tempo disintermediato, in crisi di reale, unificato nel rapporto accanitamente monogamo tra individuo schermo, incrini il vecchio rito di recarsi di persona ad un seggio; in mano una nostalgica scheda cartacea, la legnosità per grafite, il separè di una privacy possibile ed infine l’urna. Uno scatolone impilato sul tavolo come durante un trasloco, dotato però di una fessura da salvadanaio, a cui affidare la famigerata preferenza. Insomma il ‘900.

Risulta facile e probabile, immaginare che per molti, aver speso una frazione di secondo nel donare con un mouseclik un un pollice alzato, un cuore, un abbraccio insomma un condensato, come il Nestlè, d’emoticon chiuda e risolva il rapporto.

Le conseguenze, come nell’amore, porterà i due candidati in pectore, Paolo Damilano e Stefano Lo Russo, persone fin troppo per bene, nemmeno uno sgambetto o un dispetto per tutta la campagna elettorale, a fare affidamento maggiore nel parlare vis a vis alle persone, nello stringere mani e nel mostrarsi. Due scappati dalla casa del web che affronteranno per i quindici giorni che li condurrà al ballottaggio, la caccia al voto. Forse anche in notturna.

Come questo quadro sublime di Paolo Uccello, sommo pittore padre di una prospettiva in grado di far sfociare, in un punto lontanissimo e metafisico, il dipinto e i suoi personaggi, calati in un fitto bosco di alberi sottili, in cui tutti convergono verso il centro, e qui forse sta il parallelo più immediato con la situazione politica del presente.

Precisamente proprio la prospettiva, della città che Torino diverrà domani, riveste l’incognita maggiore, come nel dipinto è sfuggente, rappresentata da un mistero che s’infittisce e le preoccupazioni, degli elettori “prede”, si fanno man mano grandi, materiali, oggettive.

Ai due sfidanti gli auguri e la responsabilità di saper individuare la preda giusta: perché ogni caccia si chiude con un banchetto, dove si spera ci sia posto a tavola per tutti e il cibo sia giusto nelle quantità ed equamente suddiviso non su Facebook ma nella vita reale.