Il racconto dell’uomo si intreccia a quello della sua professione: l’inviato, il giornalista. Un viaggio che apre una riflessione più ampia sull’uomo e sulla narrazione. Cosa spinge ad addentrarsi nel cuore di tenebra di luoghi che meritano di essere descritti, a intraprendere viaggi che potrebbero essere senza ritorno? Conoscere e narrare come nucleo stesso dell’eredità dell’Occidente.
Cinema Massimo
Questo il tema che il documentario “Viaggio senza ritorno” in programmazione al Cinema Massimo stasera alle opre 21 in cui la vita e il lavoro di Domenico Quirico è l’escamotage per condurre lo spettatore dentro al cuore vivo della realtà.
 “Come regista non mi interessava fare un documentario “su” Domenico Quirico. Mi interessava piuttosto mettere lo spettatore nella condizione di essere colpito dalle sue parole e penetrato dal suo sguardo, obbligarlo ad “affrontare” Quirico e magari spingersi a immaginare il proprio personale viaggio senza ritorno.” 
Con queste parole il regista e filmaker Paolo Gonella, presenta il documentario “Domenico Quirico.Viaggio senza Ritorno” che con grande coraggio ha esplorato un tema e un personaggio tanto intrigante quanto complesso. 
“Ho incontrato Domenico Quirico la prima volta nel 2014, all inaugurazione del festival A Sud di Nessun di Nord, quando ho avuto la fortuna di filmare il suo intervento che apriva la manifestazione. Fui travolto dalla potenza delle parole di quell’uomo minuto dal volto scavato,  mi sembrava di non aver mai assistito ad una “performance” del genere: ero di fronte ad uomo venuto da un’altra epoca, un esploratore del mondo e dell’animo umano uscito da un romanzo ottocentesco, o da un film di Herzog. Parlava del viaggio Quirico, e della possibilità di un viaggio senza ritorno. Non era “solo” un reporter di guerra, non quello che mi aspettavo. Era un appassionato, sopraffino pensatore che si era spinto oltre confini da cui non è facile tornare. Dovevo approfondire, e lo dovevo fare permettendo a Domenico di raccontarsi più a fondo e ben oltre quel rapimento per cui – almeno per me – era famoso. Scrivo apposta “raccontarsi” e non “essere raccontato” perché non è  l’esperienza professionale in sé di Domenico a renderlo un personaggio fuori dal comune ma la sua capacità unica di restituire con la forza delle parole esperienze estremamente difficili da raccontare. Ogni parola di Domenico infatti ha un peso specifico, ha senso di per sé, e anche quando sembra perdersi con il discorso lo fa solo per condurti in luoghi inaspettati. Ogni suo sguardo è un invito all’onestà prima di tutto verso se stessi. 

Domenico Quirico

Ho cercato di tenere Domenico il più possibile sullo schermo, in alcuni momenti di stringere l’inquadratura così stretta sul volto per dare la sensazione di averlo lì, a pochi centimetri di distanza. Musiche e altre immagini intervengono solo quando strettamente necessario, ovvero quando Domenico svanisce e lascia spazio solo alle sue parole, scritte o pronunciate come da un luogo lontano”.
La proiezione organizzata da ArtPhotò risulta di notevole attualità. In un periodo in cui l’informazione vive un ribaltamento delle proprie caratteristiche primarie, ossia la presenza nei luoghi dove le cose accadono, di professionisti che lucidamente sappiano riportare ai lettori la storia mentre si fa, è un’occasione rara e riguarda tutti.
La crisi dei giornali ha travolto la figura dell’inviato privandoci di quei reportage in grado di far comprendere il mondo, di avvicinarlo e di renderlo presente. Motivo che investe il documentario di un senso ulteriore: di urgenza e di racconto.
Pier Sorel

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