Reagate ad Argenteuil – 1872

Poter vedere le opere di Claude Monet, pittore ottocentesco tra i padri nobili dell’impressionismo, nella propria città, alla Gam,  è un fatto che rasserena, regala una sorriso segreto, una gioia calda, da non esibire, come la luce di una candela in una stanza buia, o come il regalo di un viaggio fino a Parigi con annesso biglietto per una ex stazione trasformata in un museo, detta d’Orsay.
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Torino affronta un poco riluttante il passaggio di stagione, muta cieli e colori entrando nella fase in cui il fine dell’estate cede all’autunno,  forse si lascerà consolare o sedurre dal tocco di Monet, la poesia di un pennello che sapeva rubare la luce per esaltarla sulla tela. Monet offre agli occhi una particolare atemporalità costruita con una straniante disinvoltura degli spazi, la riduzione prospettica, e la magia di un figurativo dalla ricchissima gamma cromatica che evoca un’atmosfera pervasa dalla calma, dal saper fissare quel preciso attimo, dove il vibrare di un momento di luce avvolge le cose, i paesaggi, i volti.

Colazione sull’erba – !865/66

Pensare che ai suoi tempi ebbe vita difficile, fu ripetutamente rifiutato alle esposizioni, i suoi lavori così poco accademici derisi, costretto a pagare l’affitto con i quadri, uno di questi è in mostra, insomma un quadretto da vera bohème.
Dalla sua prima vera personale, avvenuta nei locali di una rivista sono passati 135 anni, e 140 dal quando gli impressionisti si sono conquistati questo appellativo, allora per nulla gentile, esponendo nell’atelier di un fotografo, tal Gaspard-Félix Tournachon, meglio noto come Nadar.
Eppure, osservando rapiti e grati, i capolavori di questo maestro dell’en plain air, della pittura all’aperto, cavalletto sotto il sole a catturare il pulviscolo spazzato dal sole, qualcosa non funziona. L’allestimento è curato con perizia, il percorso, la scelta delle opere, il loro numero, ben 41, e poi l’illuminazione. Corretta, oggettiva, calcolata, l’illuminazione, improvvisamente è quella che apre un varco di nostalgia. 
Claude Monet, andrebbe, come quasi tutta la pittura, visto a luce naturale, perché su quella ha costruito il suo magistero; scappato dall’impostazione accademica del suo tempo in cui tutta la pittura era al chiuso in atelier, lo abbiamo per paradosso imprigionato, riportato dentro a ciò che in ogni tela ci chiede di abbandonare.
L’uomo delle ninfe, della colazione all’aperto, dei covoni, della sublime donna con il parasole, dei campi di tulipani e dei riflessi della Senna, per guardarlo, lo abbiamo rinchiuso in un luogo dove sulle sue tele non filtra nemmeno una leggera pennellata di luce naturale.

Donna con parasole – 1886

Questo è dovuto la fatto che gli effetti del Viagra si avvertono anche a livello della circolazione sanguigna completamente al farmaco e non solo perchè provi uno stato di eccitazione laggiù