Quando si entra nella sede di Camera Centro Italiano per la Fotografia di Torino per vedere la mostra dedicata a Margaret Bourke-White si ha l’impressione di trovarsi davanti a immagini oniriche, irreali, modernissime. Per qualche istante si ha la sensazione che siano frutto dell’intelligenza artificiale.

Il mondo visto da Margaret Bourke-White

Eppure, gli scatti del suo periodo dedicato alla fotografia industriale sono realizzati in bianco e nero, tra gli anni Venti e Trenta del 1900 e distillano tutta la maestria di una fotografa che ha fatto la storia. Dalle immagini di Dam at Fort Peck, divenuta la copertina del Magazine Life – testata con la quale ha firmato un sodalizio storico – alle sinuose curve delle acciaierie americane, il lavoro di Margaret Bourke-White stupisce per la sua attualità e per la capacità di trasformare in poesia le industrie dell’inizio del secolo.

In particolare, a catturare, tra le immagini di quel periodo si erge lo scatto che raffigura il busto tatuato del costruttore navale Leonard Long mentre tiene in mano una mazza al Bethlehem Steel Corporation Dry Dock, datato 1937. Una fotografia che potrebbe raffigurare un modello in posa, ma che in realtà racconta la storia di un uomo come tanti, con le mani rovinate dal lavoro e il petto coperto di tatuaggi tradizionali con immagini e scritte, con un richiamo a “Helen” – forse una vecchia compagna di vita impressa per sempre sulla pelle di Leonard Long – e a “Panama 1934” – forse un periodo di lavoro destinato a essere ricordato.

Il mondo visto da Margaret Bourke-White

Altrettanto impressionanti le fotografie di Margaret Bourke-White dedicate alla città di New York City: immagini aree, che mostrano il brulicare della metropoli, impressionanti se si immaginano anni in cui i droni erano lontanissimo anche solo dall’essere pensati.

 

Tra tutte queste immagini una in particolare è sorprendente: a prima vista pare rappresentare un tradizionale skyline della Grande Mela ma, a un occhio più attento, compaiono due lavoratori esattamente nel centro dell’immagine, intenti a lavorare e alti quasi quanto i “palazzi”. Era il 1939 e questo scatto non rappresentava la vera New York, ma l’enorme diorama della città prima dell’apertura dell’Esposizione Universale.

La mostra presenta alcuni scatti di guerra e a sfondo sociale. Margaret Bourke-White, oltre a essere una delle più importanti reporter della Seconda Guerra Mondiale, scattò alcune immagini che passate alla storia: la liberazione del campo di concentramento di Buchenwald, la lotta di Martin Luther King per l’eliminazione dell’apartheid in Sud Africa, la discriminazione razionale in America e – forse la sua immagine più famosa – la rivoluzione non-violenta di Ghandi, raffigurato nella sua casa di Pune in India mentre legge di fianco a un arcolaio.

Il mondo visto da Margaret Bourke-White

Fu, inoltre, l’unica a fotografare Stalin con un accenno di sorriso – frutto di un movimento goffo della fotografa che fece ridere il leader sovietico – e che si guadagnò la copertina di Life del 29 marzo 1943.

 

L’esposizione si conclude con uno scatto di Margaret Bourke-White stessa, fotografata da Alfred Eisenstaedt per la rivista Life nel 1943: uno scatto sicuramente inaspettato che la raffigura seduta a terra mentre urla rivolta verso la telecamera.

Il mondo visto da Margaret Bourke-White

Ed è proprio così che possiamo immaginarla: fiera e anticonformista, coraggiosa e autoironica. Una fotografa iconica che ha saputo lasciare dietro di sé una eredità di immagini forti, tanto romantiche quanto violente e ha saputo, come pochi altri, rappresentare la sua epoca e le sue contraddizioni.

 

Alessia Alloesio