ORE D’ORO

Libri d’ore dal medioevo a oggi

Cosa sia un Libro d’Ore, per quanto non necessariamente medioevisti, ben lo sapevano i nostri nonni indottrinati ad una liturgia giornaliera contadino/cristiana che partendo da reminiscenze tardo pagane affidava famiglia e focolare ai santi, fatture e legature al segno della croce e semina e vendemmia al calendario lunare e, del tutto inconsapevolmente, alle tradizioni celtiche.

Il primo "Libro d'Ore"

C’è una mostra allestita presso la Biblioteca Reale di Torino, all’interno del salone pelagiano che riporta il titolo “Dal medioevo ad oggi”, in esposizione dal 23 al 31 maggio, in orario continuato dalle ore 9 alle 18, suscitando un’apparente contraddizione tra ciò che era il prodotto di punta dei monasteri medioevali, ovvero il codice miniato, e ciò che ne è rimasto negli odierni breviari, scritti su carta sottile, in formato microscopico, prediligendo l’economicità della stampa alla possibilità di lettura. La mostra avrà quasi sicuramente una proroga, visto l’interesse e il successo di pubblico. Ne daremo notizia appena verranno comunicate le date. 

A costruire, in modo geniale, un ponte artistico storico tra passato e presente ci ha pensato la curatrice e storica dell’arte Federica Maria Giallombardo.

In seno all’Università degli studi di Torino, si è fatta curatrice di quella che potremmo definire un’esperienza visiva non tradizionale, intima e corale al contempo in una mostra che della mostra non ha nulla, né l’aspetto, né il paludato allestimento, tanto meno il pseudo saccente girovagare tra le opere, atteggiati a quella ieraticità tardo sabauda di chi guarda ma non vede.

Il lavoro svolto dalla Giallombardo è stato, inusitato e probabilmente improbo. Dopo aver selezionato 13 artisti contemporanei li ha condotti a considerare i miniatori medioevali, i significati delle ore canoniche associate alla relativa liturgia, i lavori degli amanuensi, ma, soprattutto, la concezione medievale di religiosità dentro e fuori le mura di un’abbazia, vista secondo la visuale del popolo e riprodotta secondo un’inclinazione più attuale.

Ha raccomandato una visione intima, tipica di un lettore qualsiasi, non distratto, conformandola alla coralità di più interpreti che esplodono in tredici visioni, a loro volta intime, completamente diverse l’una dall’altra eppure complementari. L’idea curatoriale è stata quella di coinvolgere tredici artisti, formarli sul significato del libro d’ore, offrirgli un supporto cartaceo idoneo e lasciarli esprimersi. Raccolte le opere e rilegate in un unico, nuovo, libro d’Ore gli artisti divengono 13 miniatori, 13 amanuensi, per un’operazione mai fatta prima in collaborazione con Hapax editore. 

Risultato? Basta sfogliarlo, con i guanti, per cortesia, e possibilmente con l’aiuto della curatrice che là dove si rischia di vedere un foglio scuro con qualche macchia bianca, si rischia di scoprire, impiegandoci solo qualche secondo e un minimo di attenzione in più, che si tratta di un campo cosparso di alberi o di pappi o di soffioni dove il passaggio del tempo, associato all’impegnarlo, traducono in modo simbolico ed esteticamente significativo il contemporaneo libro d’ore.

Qual è allora il filo che unisce un testo liturgico medioevale suddiviso secondo le ore canoniche da un moderno esperimento di rivisitazione di un mondo che sapeva ben scindere il sacro dal profano, riservando al sacro quel ben definito spazio recintato, protetto, salvifico che l’etimologia latina di sacer preserva ancora oggi nel bisogno di trovare riparo?

Il sacer era riservato al ministro che, in intimità con Dio e suo rappresentante, ne espletava i riti, facendosi tramite tra il non profano e gli uomini cui era interdetto, nel modo più assoluto, accedere al recinto, fosse cristiano, fosse salomonico, fosse egizio oppure ellenico. Al sacer è associato il manuale d’uso. Quello sumero e poi biblico del Gan – Eden, quello egizio del libro dei Morti, quello mitologico di Giove e quello misterico di Eleusi, fino ai vangeli cristiani e musulmani dove la storia si allea con la manualistica, il catechismo con la pedagogia, la liturgia con la devozionalità quotidiana, sempre meno mistica, volta al ritorno all’Eden e al sacro recinto.

Le ore canoniche scandivano la monacale quotidianità di conventi ed abbazie dove i benedettini per primi istituirono La Regola. Ora et labora. Già il termine sembra prendersi gioco dell’interpretazione lessicale, lasciando il contenuto ambiguamente in preda ad un esercizio che, comunque vada, riesce a riassumere intento e significato. Che si tratti di ora come frazione temporale del giorno, o si interpreti come orare nel significato di pregare, il connubio delle due definisce modi e scopi, ovvero pregare nelle ore fisse.

Il manuale atto allo scopo era il libro d’ore, sapientemente miniato da monaci artisti ed artigiani che rappresentavano dalle scene alle semplici decorazioni, dai margini ai capolettera in un’esplosione di colori, forme, spesso anche lazzi, che li trasportava fuori dalle sacre pietre grigie del monastero attraverso un mondo medioevale tutt’altro che buio, tutt’altro che monocolore, tutt’altro che succube di incubi sulla fine della mondo, per niente affine alle predicazioni di Savonarola e ancor meno all’austera danza macabra degli impiccati o dei bruciati vivi di Domenico Guzman.

Il libro d’ore rifletteva la pace serafica e colorata di San Francesco nel suo tutt’uno con la nature, senza dimenticare, per carità, l’obbligo devozionale stabilito da Benedetto. Con l’avvento della stampa su doppia colonna, a metà del 1400, e la sostituzione prima del gotico e poi della minuscola carolina i codici compiono un secondo balzo evolutivo, importante come il passaggio dal rotolo al codex: dal codice all’incunabolo. Si leggono meglio, si stringono anticipando le moderne edizioni economiche, si fanno essenziali anticipando i moderni bignami. Ma i libri d’ore restano, comunque, i capolavori di quell’arte grafica che non avrà più eguali, fino a ieri.

Se il libro d’ore prese piede per soddisfare il desiderio laico di trasportare nella quotidianità profana il ministero devozionale monacense, si può ritenere che appartenga più alla sfera degli strumenti laici e che, come tale, possa subire sviluppi legati a modi nuovi di rappresentazione e di sentire. Se l’opera a pagina intera dei miniatori medioevali rappresentava in tutto e per tutto il sentimento dell’artista, verrebbe da chiedersi come un miniatore moderno interpretasse gli stessi bisogni, gli stessi strumenti giunti a noi dal Medioevo.

Il progetto, partito lo scorso autunno è sfociato nella mostra della Biblioteca Reale dove la dottoressa cura anche l’esposizione dei codici miniati sotto teca, visibili solo in rari periodi dell’anno, causa luce e umidità non adatti alla conservazione. Il libro d’Ore, un unicum sotto ogni spetto, è stato donato alla Biblioteca Reale di Torino, divenendo de facto il primo vero libro d’artista conservato nella biblioteca.

La Giallombardo scrive: “ a differenza di una mostra collettiva tradizionale, dove le opere sono esposte in uno stesso spazio, ma separatamente, qui, un unico punto dello spazio, l’oggetto – libro, raccoglie le tecniche, le poetiche e le rivisitazioni degli artisti chiamati a partecipare.”

Racconta anche la procedura tecnica di costruzione del libro: una volta che gli artisti consegnavano i loro lavori, “le carte sono poi state rilegate dal laboratorio artigiano di Bottega Fagnola, di Torino, in maniera da costituire una facciata (cioè due pagine consecutive) così che, a libro aperto, si veda l’opera di un artista per volta, sottolineando lo scandire del tempo e invogliando il lettore a sfogliare” aggiunge ancora “la copertina del libro è semplice e lineare, in pergamena bianca, per evitare un richiamo anacronistico posticcio alle sontuose copertine dei libri ecclesiastici e gentilizi.”

Infine rivela: “il volume contemporaneo dialoga con i libri d’ore conservati nella Biblioteca Reale di Torino, sorretto da un leggio appartenente alla collezione della biblioteca stessa.

Sottolinea inoltre “l’incredibile disponibilità intellettuale degli artisti coinvolti che, senza alcun tipo di remora, di vincolo, o di preclusione, le hanno accordato una fiducia totale, credendo al progetto in modo totale e disarmante, confezionando un prodotto finale che ha superato le aspettative”.

Non solo il prodotto finale traduce magistralmente l’idea, ma la sottolinea, la fa brillare di una particolare luce che, sbarazzatasi non del tutto della polverosa atmosfera di uno scriptorium, rifulge nel nuovo spazio –tempo museale, illuminando, non tanto il fruitore occasionale, ma, prima di tutti, il visitatore colto, curioso, magari poco avvezzo a lasciarsi convincere che arte contemporanea e medioevale possono convivere.

Alberto Busca

Gli artisti coinvolti, tra i più affermati del panorama contemporaneo, sono stati selezionati dalla curatrice assecondando criteri di diversificazione stilistica, di esperienze professionali e di cultura letteraria:
[sono indicate le gallerie di riferimento degli artisti]


Cornelia Badelita (Radauti, 1982) [Peola Simondi (TO)]
Andrea Barzaghi (Monza, 1988) [Société Interludio (TO)]
Gregorio Botta (Napoli, 1953) [Peola Simondi (TO)]
Francesco Carone (Siena, 1975) [Société Interludio (TO), SpazioA (PT)]
Luca Ceccherini (Arezzo, 1993) [Société Interludio (TO)]
Manuele Cerutti (Torino, 1976) [Guido Costa Projects (TO)]
Fabrizio Cotognini (Macerata, 1983) [Prometeogallery (MI)]
Stefano Di Stasio (Napoli, 1948) [Galleria Alessandro Bagnai (AR), Galleria Vigato (AL)]
Caterina Morigi (Ravenna, 1991) [Galleria Studio G7 (BO)]
Giuseppe Mulas (Alghero, 1995) [Peola Simondi (TO)]
Nazzarena Poli Maramotti (Montecchio Emilia, 1987) [A+B gallery (BS), Sara Zanin gallery (RM)]
Paolo Pretolani (Assisi, 1991) [Marina Bastianello Gallery (VE)]
Enrico Tealdi (Cuneo, 1976) [Société Interludio (TO), Francesca Antonini Arte Contemporanea (RM).