C’è un altro modo di raccontare una storia che presumibilmente tutti conoscono? Una storia che più di ogni altra ha segnato la giustizia italiana, ha obbligato più di una generazione a porsi delle domande nuove e ha determinato una sensibilità e una serie di leggi e tutele oggi in vigore.

Nulla di più emblematico per ciò che viene definito malagiustizia fu il caso di Enzo Tortora e sull’uso e abuso della giustizia sabato 18 novembre, alla Fondazione Camis De Fonseca si è svolto un incontro organizzato da Piemonte Libertà, Partito Radicale, Italia Liberale e Popolare e Associazione Marco Pannella di Torino.

Tra i relatori invitati c’era Gaia Tortora, giornalista e Presidente del Partito Radicale che per Mondadori ha scritto un libro dal titolo: A testa alta, e avanti. Un memoir sulla vicenda del padre dal suo punto di vista. All’evento hanno partecipato Alessandro Barbano, Giornalista e Scrittore; Bruno Mellano, Garante dei Detenuti della Regione Piemonte; Irene Testa, Tesoriere del Partito Radicale e Garante dei Detenuti della Regione Sardegna, moderati dall’avvocato Gianluca Pescatori.

Perché questo libro e perché proprio adesso?

Mi occorreva, inoltre avendo maturato da adulta l’analisi dei fatti e delle varie fasi della vita di una persona, le cose accadute, come e cosa si prova, come si reagisce e si porta sulle spalle una storia come la mia.

Un’armatura calata dall’alto, a 14 anni, il giorno dell’esame di terza media, che in due ore ti cambia la vita, e ti cambia per sempre, incide così tanto e mi ha fatto spesso a pensare come sarebbe stata senza quello che io chiamo il Viaggi all’inferno. Per lavoro ho intervistato tante persone che hanno avuto vissuti simili al mio e non si torna più quelli di prima, mai più, non tutti hanno la fortuna di conservare la famiglia, il lavoro, gli amici, gli affetti.

In cerca di giustizia.

Da sx: Bruno Mellano, Gianluca Pescatori, Gaia Tortora e Irene Testa.

Oggi crede nella giustizia?

Io credo nella giustizia, ci sono molti giudici bravi che fanno bene il loro lavoro, soprattutto nel silenzio, l’idea è che per un giudice che ti condanna ingiustamente c’è ne può essere uno che ribalta il verdetto.

Io non voglio avere paura della giustizia, invece questo accade oggi, perché chiunque capiti in una vicenda giudiziaria, non necessariamente folle come la mia, sa quando entra non sa quando esce e come ne esce.

L’immagine iconica di suo padre portato via in manette nel giugno dell’83, era stata creata ad arte?

Si fu creata ad arte, il comandante incaricato dell’arresto a cui chiesi motivazione di quell’arresto con le manette, ripreso da fotografi e televisione, mi disse che era stato preparato appositamente. Lui aveva disposto per condurlo fuori  in modo protetto da una porta laterale, invece ci furono delle pressioni, per farlo uscire davanti a tutti. Accompagnato da due carabinieri fino all’auto.

Quando ho chiesto “comandante ma chi è stato a fare pressione, la procura? Mi disse no. E allora chi? E’ stata la Rai.” Non mi stupisco più di nulla, e nemmeno se un Direttore di un Tg avesse telefonato e avesse detto aspettateci. Ho saputo che dell’arresto si sapeva già da un paio di giorni.

Parlando dei magistrati che si sono occupati di suo padre, hanno subito delle conseguenze rispetto alle decisioni d’allora?

Si delle conseguenze terribili. Sono stati promossi ad alti livelli. Ma ci tengo a sottolineare che non bisogna fare di tutta un’erba un fascio, non è tutto così, ci sono situazioni dove la magistratura compie un ottimo lavoro con molta attenzione. Nel caso Tortora vi fu la volontà di portare avanti un teorema.