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«Cooperazione internazionale? E cos’è?».
Lo sguardo della telecamera inchioda i malcapitati cittadini intervistati al mercato. Fra un banco di abbigliamento e uno di verdure gli si chiede se sanno cosa sia la cooperazione internazionale e, ovviamente, non lo sa nessuno. Qualcuno prova a buttare lì qualche parola “collaborazione?”, “solidarietà?”.
Macchè, peggio del Sarchiapone di Valter Chiari. Ma è questo il punto di partenza per giornalisti, istituzioni e organizzazioni non governative che si sono confrontati, nell’aula magna della nuova sede universitaria del Campus Einaudi per fare il punto della situazione su come viene comunicata l’attività delle organizzazioni di cooperazione e solidarietà internazionale e di come i media e, di conseguenza, i cittadini e la politica percepiscono questo tema.
La ricerca, che fa parte del progetto  europeo, “comunicare in rete lo sviluppo” a cui partecipano le Università di Torino, Lione e Barcellona, le Regioni Piemonte e Rhone Alps, i coordinamenti delle ong di delle  Piemonte, Rhone Alps e Catalogna, oltreché il sindacato dei giornalisti piemontesi, l’Associazione Stampa Subalpina ha prodotto uno studio su come, in ognuna delle tre regioni è trattato dai media il tema della cooperazione: il risultato piemontese ha molte più ombre che luci: il numero degli articoli pubblicati non è basso, ma si tratta per lo più di articoli molto brevi oppure non firmati.
Nella maggior parte dei casi si tratta di notizie occasionali giustificate da un aggancio con il territorio per via di un evento o un’iniziativa particolare. In pochissime redazioni c’è un giornalista con competenze specifiche sui temi della cooperazione. Dall’altra parte della barricata lo scenario non è migliore: la comunicazione delle ong solo in minima parte è affidata a persone con una competenza professionale adeguata.
«Spesso – spiega Jean Laonard Touadi, consigliere del vice ministro degli Esteri, Lapo Pistelli – da parte delle Ong può esserci l’idea che siccome fanno del bene, la comunicazione delle loro azioni si debba realizzare quasi automaticamente». La realtà è ben altra e molto più complicata soprattutto quando si deve passare dalla comunicazione, alla creazione di un consenso rispetto a certi temi e, di conseguenza cercare il sostegno della politica, che di consenso vive e si nutre. Ecco perché per giustificare, soprattutto in tempi di crisi e di tagli, politiche e finanziamenti alla cooperazione internazionale è necessario capire come raccontarla, senza il rischio di confondere comunicazione e pubblicità.
2013-12-05 064
Tutto però diventa molto più chiaro se si spiega non tanto cosa è la cooperazione internazionale, ma quello che fa: se si parla di migrazioni, di diritto all’accesso all’acqua, di cui si occupa una storica ong torinese come Lvia, di cambio climatico, allora tutto diventa più comprensibile e apprezzabile. Proprio Lvia, negli anni scorsi ha condotto una campagna sul tema dell’acqua, che ha fatto conoscere un problema che in Italia è sconosciuto: quello della possibilità di avere l’acqua. Un gesto per noi banale, quello di aprire un rubinetto, per molte centinaia di milioni di persone è un sogno che costa sofferenza e fatica.

Fra gli esempi di come si possa raccontare il tema delle migrazioni, “Radici” il programma di Davide Demichelis e Alessandro Rocca, trasmesso su Rai tre alle 13 di domenica, che mostra il viaggio di un migrante dall’Italia al suo paese di origine. Infine, un esperimento di data journalism, quello realizzato sul sito del quotidiano La Stampa che attraverso una serie di dati permette di capire, paese per paese come vengono spesi i soldi della cooperazione. «Quello che è importante – spiegano dalle Ong – è fare capire che non si tratta solo di spendere dei soldi per un paese lontano di cui non si interessa nessuno, ma che si sta investendo, in realtà, sul futuro di tutto il mondo e, quindi, anche del nostro».

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