The Plot Against America questo il titolo originale scelto da Phiph Roth nel 2004 per raccontare una storia non accaduta ma soltanto immaginata dalla sua fantasia. Tradotto con “Il Complotto contro l’America” edito da Einaudi e tradotto da Vincenzo Mantovani sarebbe da rileggere in questo periodo in cui moltissimi si baloccano con l’idea di un complotto contro l’Italia o l’Europa a seguito dell’emergenza sanitaria.

Tra le varie teorie del complotto in circolazione in questi giorni c’è quella secondo la quale l’emergenza coronavirus sarebbe sfruttata ad arte (da chi? dai governi?) per farci rimanere a casa e, in questo modo, praticare un controllo sociale capillare. Chi diffonde queste idee, per giunta, non lesina i richiami agli studi di Michel Foucault.

c'è di sicuro un complotto.

Ora, proviamo a fornire qualche ragguaglio informato sul pensiero di Paul Michel Foucault, Poitiers 1926, Parigi 1984, tra i grandi pensatori del XX secolo è stato fiolosofo e sociologo, saggista e docente presso il Collège de France.

Per prima cosa, è verissimo che in molti suoi scritti e lezioni Foucault prende in esame i meccanismi di quarantena e isolamento inventati nella prima età moderna per far fronte alle epidemie ( a questo proposito, le prime lezioni del corso al Collège de France su “Gli anormali”).

Egli tuttavia non sostenne affatto che le epidemie fossero un’occasione per affermare un certo controllo sociale (le epidemie, infatti, sono eventi troppo irregolari e sporadici, su cui non può fondarsi la continuità e la costanza dell’esercizio del potere).

Foucault piuttosto ipotizzò che l’organizzazione di quarantene e isolamenti fu tra gli eventi storici che fornirono il modello pratico ed epistemologico – quello che lui stesso definisce “dispositivo” – per il successivo sviluppo delle istituzioni disciplinari (prigione, scuola, esercito, manicomio, ospedale… insomma quelle che Goffman chiamava istituzioni totali). Si potrebbe addurre una quantità enorme di documentazione storica e teorica per dimostrare questa connessione, cosa che, evidentemente, qui non si può fare.

c'è di sicuro un complotto.

Paul Michel Foucault

Per Foucault, quindi, quella disciplinare è senza dubbio una delle forme assunte dall’esercizio del potere in epoca moderna. Non è però l’unica. Al contrario, proprio nel novecento Novecento (soprattutto nella seconda metà del secolo), a causa di trasformazioni tecnologiche e politiche, si è affermato un nuovo paradigma, quello biopolitico, che non ha certo fatto scomparire il “potere della disciplina“, ma lo ha piuttosto ridimensionato e ricodificato, se non proprio confinato ad ambiti specifici.

Tra le tante caratteristiche della biopolitica, la più rilevante sta nel fatto di essere un potere che, per lo più (non sempre, ma quasi), si esercita in maniera indiretta, non disdegnando di fare appello a una certa nozione di “libertà” dei soggetti.
Per illustrare questo aspetto possiamo fare l’esempio di due situazioni tipiche. Nel caso del potere disciplinare questa situazione è quella del soldato in caserma, sottoposto a regole rigide che normano tutta la sua giornata (orari di sveglia, pasti, sonno, compiti da svolgere eccetera).

Nel caso, invece, del potere biopolitico, la situazione è quella del consumatore nel centro commerciale, che se da una parte sceglie liberamente quali prodotti acquistare (nessuno gli punta una pistola alla testa perché scelga X piuttosto che Y), dall’altra la sua scelta sarà orientata, ad esempio, da una pubblicità che avrà visto in tv o sul giornale, e che qui è la vera istanza normativa del potere.

La comparazione è grossolana ma utile e soprattutto fa capire che, su una scala di massa, il paradigma biopolitico è infinitamente più economico ed efficiente di quello disciplinare. Più economico perché costa molto meno condizionare i consumatori con una pubblicità che non formare ad uno ad uno migliaia di individui a seguire uno schema rigido dato a monte. Più efficiente perché, almeno all’apparenza, ma è un’ apparenza che pesa tantissimo, non costringe ma orienta, producendo per giunta la finzione secondo cui le scelte procedono tutte da soggetti autonomi, non sottoposti a condizionamenti.

Se tutto questo è chiaro, si capisce come il potere biopolitico non sia tanto interessato ad imporci un modello di comportamento stabilito a priori, quanto a conoscere i nostri comportamenti attuali per poterli indirettamente orientare, il che è stato reso molto agevole a seguito della rivoluzione tecnologica iniziata 40 anni fa (a questo proposito si rimanda al corso su “La nascita della biopolitica”, dove Foucault, con decenni di anticipo rispetto a noi, svolge un’analisi profondissima del neoliberalismo, un paradigma che è per l’appunto pienamente bioplitico).

Un esempio semplicissimo, giusto per capirci. Tutti quanti abbiamo nel portafoglio una tessera magnetica di supermercato su cui vengono registrati i nostri acquisti. Bene, è proprio attraverso quelle informazioni, insieme a quelle di milioni di altre persone – i nostri gusti, le nostre “debolezze” alimentari, la nostra situazione economica…- che quella catena di supermercati, ma anche la grande distribuzione e la produzione si orienteranno e decideranno le loro strategie idustriali e di mercato, ivi comprese le pubblicità che ci invitano a comprare i loro prodotti (e così il cerchio si chiude).

c'è di sicuro un complotto.

Gli esempi potrebbero essere moltiplicati in modo vertiginoso (che dire di tutto ciò che è commercio on line?). In effetti ovunque ci sia un circuito elettronico che raccolga le nostre informazioni, lì c’è almeno potenzialmente un formidabile punto di presa del potere biopolitico.
In breve, Foucault sarebbe d’accordo nel dire che, oggi, il vero controllo sociale si esercita attraverso la gestione di cosiddetti big data, che sono la quintessenza della biopolitica.

Frugatevi nelle tasche e prendete il vostro cellulare, accendete il vostro PC o usate una delle tessere magnetiche che avete nel portafoglio. Tutti questi oggetti sono snodi attraverso cui transita un potere esponenzialmente più pervasivo e condizionante di un obbligo di quarantena.
La cosa migliore che possiamo fare, in questi giorni di ozio obbligato, è riflettere su tutto ciò, su quanto, in definitiva, la nostra “libertà” sia più apparente che reale.

Courtesy Stefano Marengo

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