La Costituzione italiana regola e disciplina il sistema carcerario, un mondo di cui si conosce effettivamente poco, a cui le cronache dedicano poca attenzione, se non quando un caso particolare, in genere tragico, vi accende i riflettori.

Per queste ragioni GazzettaTorino in collaborazione con l’associazione culturale Libero Pensiero ha deciso di interpellare alcuni professionisti che lavorano nell’ambito, per poter mettere in luce le problematiche, le criticità cogenti come le soluzioni e le proposte per offrire un quadro articolato da cui trarre una maggiore comprensione del fenomeno. L’obiettivo specifico è  quello di fare chiarezza sulla funzione e la dimensione reale del sistema carcere. Per dare inizio a questo intento abbiamo intervistato l’architetto Cesare Burdese sui temi del carcere e della Costituzione.

L’ Art. 27 comma 3 della nostra Costituzione recita che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato“. Un conto è l’enunciazione di un principio attraverso una legge, un conto è la sua concreta applicazione. Nella sua esperienza del carcere che cosa riesce a collegare il “dire” e il “fare”?

Nel 1948 la Costituzione della Repubblica Italiana ha rappresentato, almeno sulla carta, una rivoluzione in ambito penale. L’umanità e la funzione rieducativa della pena costituzionale – con riferimento a quella detentiva – soppiantano la disumanità e la funzione repressiva della pena pre-costituzionale.

Nel 1975, con la Riforma dell’Ordinamento penitenziario- peraltro ad oggi ancora in larga parte inattuata -, quei principi costituzionali vennero giuridicamente recepiti e affermati. Gli edifici carcerari però che continuarono ad essere quelli di prima, vale a dire connotati dalla disumanità ed impropri per assolvere al compito rieducativo della pena costituzionale. Le nostre carceri oggi continuano ad essere luoghi che impediscono ogni possibilità di crescita che arricchisce, monotone, uniformi, paralizzanti nella loro deprivazione sensoriale ed emozionale, dove il costruito invalida, rende incerti, scoraggia, mina e reprime, anziché convalidare, rassicurare, incoraggiare, sostenere, favorire.

Quella condizione le rende incostituzionali, oltre che motivo di sanzioni degli organismi europei preposti al rispetto dei diritti umani. Alla base dei progetti che ho realizzato in ambito carcerario, sempre ho posto la questione di dare concretezza al dettato costituzionale attraverso la configurazione spaziale degli ambienti di vita e di lavoro detentivi, concretizzando in questo modo il passaggio dal “dire” al “fare”.

Che si sia trattato della progettazione di un intero edificio carcerario, di una sua sezione detentiva, di un giardino per gli incontri dei detenuti con i famigliari, degli arredi della cella, ecc., il mio approccio progettuale è stato ogni volta quello di superare l’afflittività che da sempre appartiene alle mura del carcere. Tengo a precisare che una buona architettura da sola non basta a dare concretezza alla norma: per questo ci vogliono programmi e risorse, gestiti i primi e utilizzate le seconde da persone determinate a raggiungere gli obiettivi per cui sono state messe in campo.

 

"Secondo Costituzione".

Giardino Carcere di Vercelli

Che cosa sarebbe utile ed urgente che i cittadini conoscessero dell’universo carcerario?

Sarebbe opportuno una volta per tutte sfatare i luoghi comuni sul carcere e per quanto mi riguarda, come architetto, in particolare quelli riferiti alle condizioni della detenzione rispetto alla sua dimensione materiale, spesso impropriamente equiparata a quella di un Hotel a 5 stelle, dove la vita all’interno è migliore di quella all’esterno e il vitto e l’alloggio sono gratis ”.

Basterebbe conoscere le motivazioni che hanno visto l’Italia ripetutamente condannata dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo per tortura e metodi disumani nelle nostre carceri, per fugare ogni dubbio circa l’infondatezza di simili affermazioni. Sovraffollamento, mancanza di spazio vitale, degrado fisico, carenze igienico sanitarie, ozio forzato, ecc. sono i tratti distintivi del nostro universo carcerario, che penalizzano indistintamente custoditi e custodi.

Ma prima di questo sarebbe opportuno che l’opinione pubblica metabolizzasse il fato che la pena contemporanea – almeno in teoria – non è procurare sofferenza a chi la sconta, né tanto meno è vendicativa, ma bensì una opportunità di riscatto nel rispetto dei diritti dell’individuo, ancorché colpevole. I cittadini dovrebbero sapere che il carcere, così come è strutturato, non serve a sconfiggere il crimine: il tasso di recidiva al 70% ne è la conferma. In ultimo sarebbe utile che l’opinione pubblica acquisisse la consapevolezza che il carcere così come è oggi, altro non è che una sorta di discarica sociale dove fare convergere problemi che il mondo libero non sa risolvere in altro modo.

"Secondo Costituzione".

Arredamento cella tipo

Preso atto che il carcere sia, per mille motivi, il luogo dove il dettato costituzionale e la norma penitenziaria che ad esso si ispira, vengono talvolta violati, vi sono spiragli per la soluzione del problema?

Premetto che nel nostro paese l’edificio carcerario poco interessa a chi si occupa di architettura e che non è argomento di quanti sul carcere dibattono. Anche per questo vi è un forte squilibrio tra la dimensione giuridica della pena e quella architettonica, come dire che la nostra norma giuridica è di gran lunga più progredita delle strutture edilizie carcerarie.

Solo nell’ultimo decennio l’architettura penitenziaria è stato oggetto di qualche attenzione, da parte delle compagini di governo che si sono succedute, attraverso la costituzione di tavoli tecnici ministeriali, per definire modelli architettonici più coerenti con il dettato costituzionale, la norma penitenziaria e come l’Europa ci chiede. Azioni che però, al momento, non hanno inciso sulla realtà carceraria (materiale ed immateriale) nella maniera auspicata; basta scorrere la cronaca del quotidiano carcerario, per averne conferma. Sicuramente sul piano architettonico, il carcere in funzione resta quello di sempre e quello progettato è ancora troppo legato al passato, orfano nella fase progettuale del complesso di informazioni e conoscenze maturate nell’ambito della ricerca scientifica condotta in diversi ambiti disciplinari, accomunati dall’interesse per il miglioramento delle condizioni dei reclusi e del personale, attraverso il design degli ambienti di vita e di lavoro (medicina, psicologia ambientale, ergonomia, prossemica, sociologia, criminologia, ecc.).

L’auspicio è che le future risposte architettoniche possano essere orientate dalle conoscenze acquisite specificatamente negli ambiti di quelle discipline, con attenzione ai bisogni fisiologici, psicologici e relazionali dei suoi utilizzatori, e con la consapevolezza dell’influenza che l’ambiente costruito ha sul comportamento delle persone e nel caso dell’edificio carcerario anche per il successo dell’azione risocializzativa dell’esecuzione penale.

 

"Secondo Costituzione".

Cesare Burdese

Cesare Burdese è un architetto torinese, da decenni attivo innovatore nel settore dell’architettura penitenziaria in Italia e all’estero e sostenitore della necessità di restituire all’edificio carcerario il rango di architettura, in coerenza con le finalità costituzionali della pena.  Ha partecipato ai lavori ministeriali sui temi della riorganizzazione della vita detentiva e dell’architettura penitenziaria, che si sono succeduti nel corso dell’ultimo decennio. E’ autore del Progetto di riorganizzazione spaziale dell’Istituto Minorile Ferrante Aporti di Torino, dell’ICAM di Torino, del Giardino per le visite nella Casa Circondariale di Vercelli, degli arredi degli Spazi Gialli per l’Associazione Bambini senza sbarre, del Nuovo Carcere di San Marino. Ha curato la stesura delle Linee guida e spunti progettuali per il Nuovo Carcere di Bolzano su iniziativa della Caritas Diocesi di Bolzano e Bressanone e ha attualmente in Corso il progetto delle Linee Guida generali, nell’ambito del progetto RI-Co-struire – Una ricerca multidisciplinare nella C.V. di Como per una riforma architettonica orientata al benessere dei reclusi e degli operatori in capo alla Università Cattolica di Milano.