TRAPPOLE. PRATICHE SIMBOLICHE – CONVERSAZIONE CON CLAUDIA VETRANO

Il 10 febbraio, nell’ambito di Novissimi+, la prima edizione del bando To.Be dedicato alla crescita professionale di artisti emergenti provenienti da un percorso di formazione presso l’Accademia Albertina di Torino, l’Associazione Ghёddo e A Pick Gallery hanno presentato il progetto “Trappole. Pratiche simboliche”, di Claudia Vetrano.

La proposta espositiva, curata da Emanuela Romano per A Pick Gallery, si inserisce nell’ambito di un programma più ampio di mostre a cura dell’Associazione Ghёddo, che prevede la collaborazione tra artisti e spazi d’arte contemporanea del territorio torinese.
Nell’ambito della collaborazione con Associazione Ghёddo Claudia Vetrano ha anche presentato un’opera inedita all’interno della collettiva “Blu Policromo“. Narrazioni e interpretazioni a confronto”, inaugurata il 15 febbraio negli spazi di A Pick Gallery, in via Galliari 15/C. La mostra è visitabile fino al 15 aprile 2023.

In occasione dell’inaugurazione della mostra, due delle curatrici dell’Associazione Ghёddo, Barbara Ruperti e Olga Cantini, in conversazione con l’artista Claudia Vetrano ci raccontano il progetto.

Trappole e Pratiche simboliche

Claudia Vetrano

Protagonista del tuo lavoro è la trappola, intesa come struttura simbolica alla base della vita sociale. Quali sono stati i percorsi personali e accademici che ti hanno portata a queste ricerca e come si è sviluppata?
Sin dalle prime produzioni accademiche in una città così permeabile come Palermo, ho sviluppato un crescente interesse per il tema dei confini.

Abitando su un’isola in cui i margini sono l’essenza, l’inizio e la fine della terra che abito, ho iniziato ad indagarne le diverse strutture.
I confini però sono rintracciabili su diversi livelli, in macroscala vengono esplicati dalla geopolitica, generando esclusioni ed inclusioni territoriali; in scala ridotta, invece, creano confini sociali, costituendo dei nuclei identitari in cui gli individui si rifugiano spinti forse da un primordiale istinto di appartenenza al gruppo, creando delle immaginarie gabbie, in cui la confortevole tautologia della propria identità inganna e intrappola all’interno di un’illusoria armonia.


Le trappole si collocano proprio all’interno di una riflessione riguardo a questa intrinseca necessità di rispecchiamento. Nel rinchiudersi in un recinto di familiarità si cade o ci si lancia all’interno di una nuova trappola identitaria in cui si rimane rinchiusi ma al contempo racchiusi.
Ho quindi elaborato delle trappole per esseri umani, che poi formalmente si traducono in metafore di costrizione, imbrigliamento o semplicemente in strutture che dichiarano esplicitamente la loro finalità nell’ospitare un corpo umano, generando un’attrazione viscerale e la tentazione di collocarsi all’interno di quelle forme fatte apposta per contenere.

Nel 2018 ti sei diplomata in scultura all’Accademia di Belle Arti di Palermo per poi trasferirti e finire gli studi qui, a Torino. Come descriveresti la tua esperienza accademica in questa città?

Direi che la mia esperienza è stata molto sfaccettata. La didattica di Franko B è un punto di riferimento forte sia per il corso di Scultura che per l’Accademia intera. Con il contributo di una personalità come la sua, la formazione del corso di scultura acquisisce un altro livello spingendo ad una riflessione molto forte e solida sul contenuto dei lavori prodotti. Il modo in cui si lavora a Torino è molto diverso dall’approccio palermitano. Qui, a differenza di Palermo, la forma non è slegata dal concetto, le fattezze di un lavoro sono soltanto funzionali al messaggio che devono veicolare. Credo di avere avuto la fortuna di ricevere due formazioni che poi si sono rivelate complementari.

Trappole e Pratiche simboliche

ph Marco Farmalli.

Cosa pensi del progetto To.Be, credi che possa diventare un’occasione per gli artisti emergenti di Torino?

Il progetto To.BE è stata una sorpresa, è un progetto giovanissimo e per questo fresco e intriso di una pulsante necessità di rivendicazione e di affermazione che gli concede una spinta e un fermento inedito.
È una possibilità nuova per gli artisti emergenti di Torino che sta dando i suoi frutti. Dà la possibilità di avvicinarsi al mondo delle gallerie che molto spesso appaiono troppo distanti e difficile da approcciare; altresì permette alle gallerie di scoprire artisti nuovi del panorama torinese. Diciamo che To.BE si colloca all’interno di un gap del sistema, sanandolo.

Come hai vissuto, e che cosa ha significato per te, l’esperienza di una personale ? Hai avuto modo di vedere le tue opere e la tua ricerca sotto altra luce?


Aver avuto la possibilità di fare una personale è stata una grande opportunità, non soltanto perché nel curriculum artistico fa una discreta differenza, ma anche perché è stato il primo momento in cui ho visto per la prima volta all’interno di uno spazio adeguato, come quello di una galleria, la maggior parte dei miei lavori insieme. Ho avuto tra l’altro la fortuna di esporre da A Pick Gallery che dispone di uno spazio che si sposa perfettamente con l’estetica dei miei lavori; è uno spazio estremamente versatile e con delle caratteristiche inusuali come la presenza di alcuni pilastri e altri dettagli un po’ “industriali” che agevolano l’integrazione della mia dialettica, per cui il connubio tra le mie sculture e l’ambiente è stato sorprendente. Grazie a questa occasione ho visto dialogare per davvero i miei lavori tra di loro, è stato emozionante ed anche interessante.
Durante il mio percorso ho condotto una ricerca e una conseguente produzione spinta da delle idee precise, nel complesso quindi ho ovviamente seguito una linea; ma mentre sei nel bel mezzo del “fare” non sai mai per certo se quella linea, che a te sembra scorrere in maniera uniforme, in realtà è dritta per davvero o se sta prendendo delle curve, va a zig zag o s’interrompe e poi riparte. Vedere i miei lavori insieme invece mi ha consentito di rintracciare un filo che li collega e li unisce, creando una narrazione coerente. Finalmente ho potuto vederli in confronto tra loro e capire quello che funziona e quello su cui devo ancora lavorare.

Le galleriste Valentina Bonomonte ed Emanuela Romano hanno saputo riconoscere e valorizzare le qualità della tua ricerca. Credi che entrare in dialogo con i galleristi possa essere uno stimolo ?

Il rapporto con le galleriste è una grande possibilità e consente di entrare in contatto con una figura professionale con un’ampia esperienza nel mondo dell’arte, che può fornire spunti su aspetti del sistema essenziali che, soprattutto nelle prime esperienze, non si conoscono o si sottovalutano.
È molto interessante entrare in dialogo con una figura nel mondo dell’arte diversa da quella a cui si è abituati, e sottoporre il proprio lavoro allo sguardo non di unə collega, di unə artista o di unə fruitore, ma a quello di un professionista dà al lavoro una prospettiva nuova.

Il confronto con Valentina ed Emanuela è stato preziosissimo. Sin da subito si sono dimostrate disponibili e assolutamente accoglienti nel confronto. Il loro parere espresso in modo nitido e molto umano sul mio lavoro è stato rivelatore sotto diversi aspetti che io non avrei preso in considerazione e che loro, con occhio esperto, invece hanno colto.
L’esperienza con A Pick Gallery avrà generato nuovi stimoli e nuove considerazioni. Hai dei progetti in mente?

L’esperienza con A Pick Gallery, soprattutto la proposta di partecipare alla mostra collettiva Blu Policromo, mi ha posto davanti a nuove sfide, come quella di elaborare un colore che finora non avevo mai utilizzato né preso in considerazione, ovvero il blu.
Nella mia produzione è ricorrente il colore rosso, quindi è stata una novità concentrarmi su un colore tanto differente. Ed anche pensare ad un lavoro a partire da un tema così specifico è stato un approccio nuovo ma molto stimolante. Attualmente sto lavorando ad un progetto per Bologna ed uno per Milano e sto valutando vie alternative, vicine e distanti da come lavoro abitualmente.

Barbara Ruperti, Olga Cantini