Viviamo tempi duri. I media ci assicurano che l’economia è in ripresa, ma non vedo volti sorridenti per la strada, né sui mezzi, nemmanco al supermercato. Per forza, guardo nei posti sbagliati. Davanti a scuola quando vado a prendere mio figlio, ecco dove la spensieratezza non conosce crisi. All’uscita, è tutto un frizzo e un lazzo, allegria a palate, che bello.
A parte una poverina che subito attira la mia attenzione: piange lacrime disperate, attorniata da compagne con espressioni afflitte che la consolano comprensive. Alla mia richiesta di informazioni in proposito, mio figlio mi chiarisce che no, la derelitta non è affranta per una interrogazione andata male (come può venirmi in mente un motivo così futile), ma perché durante l’intervallo ha sorpreso il suo fidanzatino del momento “mentre si faceva un’altra” contro il muro della classe. Devo essere sbiancato. Dio com’è cambiato il mondo. Tutto bene papi? Scusa, dico io, l’incredulità e lo sconcerto nella voce, come si faceva un’altra in classe contro un muro nell’intervallo? Non è che volessi i dettagli della posizione, solo mi sembrava una scena surreale. Ai miei tempi a scuola nell’intervallo si giocava a pallone, pallina o salta madonnina. A volte si ripassava per l’interrogazione o il compito in classe – volevo dire verifica – dell’ora successiva.
Non dico che fosse meglio, anzi peccato non averci mai pensato, ma sarebbe stato comunque un bel problema. La privacy, per esempio. E poi trovare una disposta a dartela, lì in classe, o anche fuori se è per questo. Mio figlio deve aver captato il mio profondo turbamento. Beh, si stavano dando un limone e lei li ha beccati. Adesso sono veramente disorientato. Nell’intervallo si può anche fare la merenda, questo me lo ricordo. C’era chi si portava il panino, chi andava al bar della scuola per cappuccio e cornetto, ma un limone? Alle 10:30 del mattino? Mentre ci si fa? Contro un muro nell’intervallo in classe? Scenari inusitati. Mi sento un idiota. Strano, quando parlo con la mia prole mi accade sovente. Perplesso di fronte a tanta ottusità, il virgulto spiega con tono indulgente (chissà che alla terza volta non riesca a capire, proviamo, in fondo è mio padre, ammesso che uno così lento di comprendonio possa essere veramente mio padre): Sì dài si stavano baciando, mica è proibito…

 
Riprendo a respirare, il mondo non è poi così cambiato. Per quelli della mia generazione “farsi una” non significa esattamente limonare contro un muro. Magari una volta poi glie lo spiego. Per fortuna ho anche una figlia femmina, anche lei prodiga di soddisfazioni. L’altra sera, per esempio, qualcuno aveva organizzato una festa. Per liceali. In discoteca. Assolutamente imperdibile. Papino ci posso andare? Ci vanno tutte le mie compagne anche Francesca, Federica, Ludovica la Migliore Amica, Francesca… – Francesca l’hai già detta – Ma l’altra Francesca! Lo sai che sono due… Dài per favore ti prego papino, torno presto… A me quando mia figlia mi chiama papino riesce impossibile dirle di no. Quasi sempre. E lei lo sa. Poi se ci vanno la Migliore Amica, Francesca e l’altra Francesca…. Sorrido. – A che ora torni? – Le due…? – Pensavo più mezzanotte… – L’una e un quarto…? Capitolo sull’una e un quarto. Ma non un minuto più tardi, sia chiaro. Non è finita, il piatto forte ancora deve arrivare. -…Non è che mi potresti venire a prendere? Così risparmio i soldi per il taxi… Certo, questo è un buon motivo, non vedo l’ora. Punterò la sveglia, magari prima porto il cane a fare una passeggiata nottambula per discoteche. Così eccomi ad aspettarla davanti al locale. Auto in tripla fila. Genitori in attesa. Taxi che arrivano e ripartono peggio che a Caselle. Teen-agers che invadono allegri la strada in maniche corte e pantaloncini. Ci saranno 12 gradi, io ho i riscaldamento acceso. Ed eccola, puntuale biondissima abbronzata in canottiera bianca. Mi vede, sorride, mi saluta e sale a bordo. Realizzo che stranamente per la serata oltre al permesso non mi ha chiesto soldi, così le chiedo quanto costava l’ingresso. Ma papi, io sono una ragazza immagine! Non faccio la coda all’ingresso, entro gratis e non pago le consumazioni. L’unica cosa, è che mi tocca ballare per tre ore sopra il cubo, ma che mi frega, io tanto mi diverto… Ci metto un attimo a realizzare. La mia bambina. Sento come un coltello che mi entra nello stomaco. Penso anch’io, tesoro, mi diverto un sacco a immaginarti in canotta short e stivali che balli sopra un cubo in discoteca circondata da ragazzini rimbalzanti che ti guardano bramosi. Perché ci sono già passato. So che ti sembrerà incredibile, ma le discoteche con i relativi cubi esistevano già quando ero giovane io.
Perfino la corrente elettrica, pensa un po’. Ero di quelli che, da sotto il cubo, guardavano all’insù arrapati. E intanto immaginavo. E mi ricordo perfettamente cosa immaginavo nella mia mente di adolescente assatanato, ma è decisamente meglio che tu non lo sappia. Sorrido comprensivo, la osservo bene. Ha l’occhio limpido, è sobria, parla in modo chiaro. E poi, è arrivata puntuale, non un minuto più tardi. In fondo, cosa può desiderare di più un padre?
 
Roberto Di Palma
Foto: Courtesy Edoardo Hahn

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