Il 42% delle associazioni sportive teme di chiudere entro la fine del 2021, a mettere il coltello nella piaga del problema è la discriminazione avvenuta tra federazioni ed enti di promozione.

via lo sport di base

Il vuoto emblematico dei luoghi dedicati allo sport

 

Lo sport per tutti, riconoscibile come sport della cittadinanza, luogo di nuovo politica e non solo del tempo libero e del benessere. Della contaminazione e dell’inclusione, contro la logica della selezione e dell’esclusione, Sport dei diritti, dell’ambiente, dell’ambiente, della solidarietà. Sport della pace”.
Così scrive Nicola Porro nella prefazione del libro “A passo d’uomo” in ricordo di GianMario Missaglia.

Missaglia fu presidente dell’Arci di Milano dalla metà degli anni ’70 sino al 1981, presidente della UISP (Unione Italiana Sport Per Tutti) dal 1986 al 1998, nello staff nazionale di Libera e vicepresidente della Federazione Internazionale Sport per tutti. Giornalista e direttore di riviste di sport per tutti e di terzo settore, fu autore di testi sul tema ambiente, sport e diritti (Il baro e il guastafeste, ed. Seam, Roma, 1998). Un’eredità, quella di Missaglia, che a volte sembra destinata all’oblio e a non essere colta dai vertici, in questo periodo di emergenza sanitaria.


Qualcuno potrebbe insinuare che, nonostante le restrizioni dovute alla pandemia, di sport e del suo futuro si parla. E’ vero, si parla di Serie A, di Olimpiadi, di stadi aperti in vista degli Europei di calcio già rimandati lo scorso anno; ma chi parla di sport di base?
Chi parla dello sport, quello che oltre ad insegnare una pratica sportiva, trasmette valori e aiuta milioni di ragazzi?
I danni sociali ed economici che le associazioni sportive hanno dovuto affrontare sono molteplici, quasi da togliere il fiato. Da uno studio effettuato da Sport e Salute su oltre 34.500 organizzazioni sportive italiane, la percentuale di esse che teme di chiudere entro la fine del 2021 è il 42%. Chi non chiuderà dovrà, quasi sicuramente, ridurre i collaboratori.
Il danno è causato dal prorogarsi delle chiusure e non più riaperture che hanno portato un netto calo o addirittura la cessazione delle iscrizioni. Tra i pochi che hanno ripreso le attività durante l’emergenza sanitaria, ovvero il 2% delle associazioni sportive italiane, è rimasto aperto esclusivamente per far si che gli atleti di interesse nazionale si potessero allenare.

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E tutti gli altri?
Già, perché è stato il DPCM del 02 marzo, a far riecheggiare l’urlo di una condanna a morte: “In zona rossa, sono consentiti eventi e competizioni sportive organizzate da federazioni di interesse nazionale riconosciute dal Coni e dal Cip”.
Poche righe, efficaci quanto bastano per far si che tutti gli enti di promozione sportiva scrivano un comunicato stampa congiunto rivolto al Ministro Speranza, spiegando di essersi sentiti discriminati. Portando avanti questa linea dura, solo chi è tesserato a una federazione può fare sport, chi fa sport di base resta a casa. L’iscrizione ad una Federazione in genere è molto più onerosa rispetto ad enti ed associazioni sportive.

Così facendo si andrebbe incontro a una vera e propria emorragia di tesseramenti tra federazioni e enti di promozione sportiva.
Le acque, almeno per il Piemonte, potrebbero smuoversi. Proprio questa mattina, a seguito dell’approvazione del bilancio di previsione 2021-2023 della Regione, risultano incentivi pari 4 milioni di euro, come contributi alle società ed enti per la diffusione delle pratiche sportive; altri 1.900.00 euro per la riqualificazione di impianti e attrezzatura sportiva.
Lo sport per tutti, quello che ha un obiettivo sociale, quello che insegna ad apprezzare il diverso e si ispira ad una sana pratica agonistica deve continuare a poter essere esperito: a misura di ciascuno e per ognuno.

Alice Varraso