A me l’intelligenza artificiale mette ansia, moltissima ansia. Per farmela passare ho chiamato il Politecnico di Torino ed ho chiesto di poter intervistare una delle menti più raffinate in città, tra quelle che si occupano di AI: Tatiana Tommasi.

La prof.ssa Tommasi insegna Computer Vision al Politecnico di Torino e fa parte del team che lavora presso l’Hub sull’Intelligenza Artificiale guidato da Barbara Caputo. Altra testa fina.

L’ho incontrata nella nuova sede dell’AI-Hub all’interno del centro direzionale di corso Ferrucci 112, un open space nel quale si è abituati a vivere il futuro come un presente in costante evoluzione.

È la vocazione di tutti i politecnici e di quello di Torino in modo particolare. – mi dice Tatiana Tommasi – Da tre anni ormai qui si tengono corsi dedicati all’Intelligenza Artificiale (IA). Non solo nel percorso di “computer science”, l’ingegneria informatica, ma anche, per esempio, in quello di automotive, l’ingegneria dell’automobile. Senza dimenticare ovviamente il pilastro dello studio approfondito dei data science.” Ovviamente.

Per rendere l’idea, questi corsi sull’IA formano ogni anno circa cinquecento studenti. Un numero molto significativo.Sì, è notevole. Per la mia esperienza – prosegue la Tommasi – avere una classe di master students, quindi all’ultimo anno, con 200 persone in aula è quasi incredibile rispetto a 10-15 anni fa.

Però non si tratta di un miracolo, le ragioni ci sono e sono legate alla storia di Torino. Il gruppo di lavoro della professoressa Caputo si è messo in moto al Politecnico tra il 2018 e il 2019 ad ha coinvolto fin da subito anche la Tommasi.

Questo territorio ha fatto da moltiplicatore per l’interesse verso il tema dell’ Intelligenza Artificiale. Questo perchè le numerosissime aziende che operano e che spesso esistono da molti anni, grazie soprattutto all’industria dell’auto, hanno in pancia una quantità enorme di dati digitali. Un tesoro per l’IA che prende quei dati, li elabora in modo da tirar fuori le informazioni che ci servono per fare meglio ciò che stiamo facendo.

Quindi, agire su un ecosistema industriale che ha fatto della manifattura la propria vocazione fin dall’Ottocento, si è rivelato decisivo?

Certo. E visto che oggi la manifattura è diventata un dato digitale, la domanda che ci arriva è: aiutateci a migliorare attraverso l’IA i nostri processi produttivi.
Torino è talmente interessante per chi sviluppa l’intelligenza artificiale che il cuore di ELLIS, the European Laboratory for Learning and Intelligent Systems, una rete che collega una quarantina di centri di ricerca in tutta Europa, batte qui al Poli e a guidare una delle unità è proprio Tatiana Tommasi “Questo, mi creda, è il posto giusto per far cresce l’AI”. Le credo.

Un problema però c’è. Il problema, se di problema si può parlare, è che l’intelligenza artificiale non è legata solo al mondo della produzione industriale, ma contagia ogni ambito dell’umano.

È vero, ormai tutto è un dato digitale. Dagli orologi che seguono l’andamento del battito cardiaco alle nostre preferenze di acquisto nei supermercati e naturalmente anche le foto fatte con i nostri smartphone e salvate nel cloud (archivi online). Tutto ciò che noi facciamo è digitalizzato. Ciò che fa l’AI è elaborare algoritmi, funzioni, modelli con i quali estrarre da quei dati le informazioni di cui abbiamo bisogno. E lo fa in modo estremamente veloce. Siamo di fronte a un grande acceleratore che ci permette anche di osservare cose che diversamente non vedremmo.

Tutto molto affascinante, però c’è un però e la professoressa lo definisce bene:

Dobbiamo decidere cosa dare in pasto a queste macchine e per quali scopi. Il loro compito è trovare correlazioni tra i dati, o lo fanno bene. Se però noi forniamo informazioni viziate da un forte bias, un pregiudizio o un errore, ciò che verrà prodotto sarà viziato da quel bias.”

È una rivoluzione. Complessa. Serve cautela. Siamo di fronte a un mondo in divenire, di punti di domanda che si susseguo e di risposte da trovare. Un machine learning che non si ferma mai.

Quella che stiamo vivendo è l’ennesima rivoluzione industriale – sintetizza la docente – e toccherà tutti gli ambiti della nostra vita quotidiana. Quindi servono delle regole, perchè al centro di ogni sviluppo ci deve essere sempre l’uomo e non la macchina. Il tentativo di regolamentazione in atto all’interno della UE va proprio in questa direzione.

Però visto che, come disse Mao Zedong, “la rivoluzione non è un pranzo di gala” bisognerà tenere le antenne ben ritte e guidare il processo. E magari aiutare le persone a comprendere che questa rivoluzione potrà non essere da subito perfetta, ma che i benefici sono evidenti non solo in prospettiva.

C’è un pericolo da scongiurare assolutamente?

Ottimizzare il profitto a discapito del beneficio collettivo. Sarebbe un grave errore. Prenda i social media. Quale funzione ottimizzano? Quella di far sì che noi rimaniamo letteralmente attaccati alle piattaforme social il più a lungo possibile solo per profitto. Invece dovrebbero essere sviluppate le funzioni utili dalla socializzazione. Quindi è molto importante che l’AI venga fatta in open source e all’interno delle università, il cui scopo non è il profitto, ma la ricerca.

Un robot per casa e un’auto che va da sola. Se il futuro qui al Politecnico è già presente forse è possibile individuare in quali settori a breve l’AI cambierà la nostra quotidianità.

Vedo due ambiti: le automobili a guida autonoma entro decina d’anni e un po’ più in là nel tempo i robot nelle nostre case. Si parla molto di “agenti intelligenti”, che oggi di fatto sono i nostri computer. Tuttavia si tratta di oggetti fermi, non interagiscono con nessuno, se non occasionalmente attraverso una voce per accendere o spegnere la luce dell’ingresso. Immagini un computer che si muove nel tempo e nello spazio, capace di interagire con altri oggetti. Questo è un passo che ancora ci manca, ma che sono certa arriverà.” 

La professoressa Tommasi è stata gentilissima, ha anche compreso le mie ansie. Addirittura ha permesso alla nebbia di diradarsi. Però, sia detto tra noi, l’ansia non mi è passata del tutto.

Sante Altizio